Bergamo e Brescia, Capitali del gusto: 23 eccellenze da non perdere

Le due città lombarde, che insieme sono la Capitale della Cultura italiana per il 2023, sono la casa di vere e proprie eccellenze enogastronomiche: dai formaggi, ai salumi, dalla polenta al gelato, ce n’è per tutti i gusti

01 marzo 2023 | 09:30

Bergamo e Brescia saranno insieme, per tutto il 2023, Capitale della Cultura. Un riconoscimento senza dubbio meritato per un territorio che racchiude nei suoi 7.507,22 chilometri quadrati, tanto occupano le due province, un’offerta turistica eterogenea e sorprendente, che va dalle montagne ai laghi, dai borghi alle città. Un discorso che si sposa anche con l’incredibile offerta gastronomica bergamasca e bresciana.

Basti pensare che insieme le due province racchiudono ben 55 Pat, vale a dire Prodotti agroalimentari tradizionali tutelati da Regione Lombardia, 22 Bergamo e 23 Brescia, e 20 Dop, equamente suddivise. Ma la vera forza del territorio scelto come Capitale della Cultura sta nelle produzioni di nicchia, gioielli nascosti che vale la pena di scoprire. Abbiamo provato a unire queste due anime, scegliendo 23 eccellenze assolute. Eccole.

1- La polenta

Dici Bergamo, dici Brescia, e subito pensi alla polenta. Difficile, infatti, immaginare un pranzo della domenica nelle due Capitali della Cultura senza che al centro della tavola ci sia lei. Si tratta di un piatto povero, legato al mondo contadino, diffusosi dopo la peste del 1630, quando nella zona si iniziò a coltivare il mais. Da allora, la polenta è stata di fatto l’alimento base per molti bergamaschi e bresciani e, ancora oggi, è simbolo di famiglia e convivialità, accompagnata da un bicchiere di vino rosso. Oltre a quella “tradizionale”, gialla, è altrettanto diffusa la Taragna, in cui viene utilizzato anche il grano saraceno e in cui il piatto viene arricchito con burro e formaggio.

2- I casoncelli

In un ipotetico podio degli alimenti bergamaschi e bresciani più conosciuti in Italia, subito dietro alla polenta di posizionerebbero i casoncelli. Stiamo parlando di una pasta fresca ripiena, simbolo delle due città, che la interpretano però in maniera diversa. Il casoncello bergamasco è ripieno di carne (pasta di salame, salsiccia, arrosto, pollo, manzo) e formaggio e all’occorrenza vengono aggiunti amaretto, uvetta e scorza di limone. Al termine della cottura viene coperto di burro, salvia e pancetta. Il casoncello bresciano, invece, hanno la stessa forma a mezzaluna, ma hanno una pasta più sottile e il ripieno è “magro”, con pane secco, burro e formaggio. E, in uscita, sparisce la pancetta: solo burro, grana e salvia.

3- La stracciatella della Marianna

Lo sapevate che la stracciatella, uno dei gusti di gelato più amati, è stata inventata a Bergamo? Il merito è di Enrico Panattoni de La Marianna, storico locale in Città Alta. Nel 1961 Panattoni, dopo una serie di esperimenti, inserì una dose di cioccolato fondente caldo nel fiordilatte, che durante la mantecazione si solidificò in piccoli pezzettini. Era nata la stracciatella, che prese il nome dalla stracciatella alla romana, una minestra in cui l’uovo si “frantuma” nel brodo, proprio come il cioccolato. La stracciatella viene servita ancora oggi da La Marianna, con cioccolato fondente al 58%.

4- Lo Spiedo bresciano

Si è detto della polenta, alimento della domenica. A Brescia c’è, però, un altro simbolo dei pranzi in famiglia: è lo Spiedo bresciano. Piatto legato al mondo della caccia, si tratta di uno spiedo quasi totalmente a base di carne, fatta eccezione per le patate e, in alcuni casi, la salvia. Lungo lo spiedo vengono inseriti solitamente lonza di suino, petto, cosce ed ali di pollo, pezzi di coniglio e uccelli di cacciagione. Le ranfie, come vengono chiamate dai bresciani, ruotano da tradizione su braci a legna per una lunga cottura, che inizia “a secco” e prosegue poi con il burro, per circa sei ore. A quel punto si può servire.

5- Taleggio Dop

Forma quadrata, crosta sottile, rosata e morbida: è l’inconfondibile aspetto del Taleggio Dop. Formaggio di origini antichissime, probabilmente precedenti il X secolo, veniva prodotto per l’esigenza di conservare il latte in eccedenza delle vacche di ritorno dai pascoli estivi. Vacche che erano stanche, per la strada percorsa, “stracche” in dialetto: da lì il nome originario, ovvero Stracchino quadrato di Milano. Si produce sia in provincia di Bergamo sia di Brescia. Deve stagionare almeno 35 giorni e ha una pasta uniforme, compatta, con un sapore dolce, leggermente aromatico, con, alle volte, un retrogusto tartufato.

6- Strachitunt Dop

Il nome è di origine dialettale: Strachitunt, “stracchino tondo”. Un formaggio erborinato a latte crudo, prodotto con la tecnica delle due paste: vengono unite a strati la cagliata della sera e quella della mattina. Ne scaturisce un sapore aromatico intenso, che va dal dolce al piccante in base alla stagionatura, che deve essere minimo di 75 giorni. Si tratta di una vera e propria eccellenza, che può essere prodotta in un territorio molto limitato, vale a dire i comuni di Taleggio, Vedeseta, Gerosa e Blello.

7- Fatulì

Il Fatulì, che in dialetto significa “piccolo pezzo”, è un formaggio caprino presidio Slow Food. La sua terra d’origine è la Val Saviore e lì, in alcuni casi, lo si produce ancora con il latte crudo proveniente da una razza originaria della valle, la Capra bionda dell’Adamello. La forma è piccola, con un diametro massimo di 14 centimetri e un’altezza che varia tra i 4 e i 6 centimetri. Questo perché, secondo la tradizione, i pastori utilizzavano i piatti fondi come fascera. Il Fatulì viene, dopo la salatura, affumicato con rami e bacche di ginepro e stagionato per un periodo che va da uno a sei mesi.

8- Il Salame di Montisola

Ma come, su un’isola di pescatori il protagonista è un salame? Sì, o meglio, non solo. Certo è che il Salame di Montisola è un gioiello da scoprire. Si tratta di un salume per il quale vengono impiegate lonza, coppa, filetto e coscia del maiale, carni scelte tagliate a punta di coltello, non macinate, e senza l’aggiunta di grasso. Vengono poi aggiunte spezie ed aglio e infine viene fatto riposare nel vino. Dopo l’insaccatura, viene affumicato con legno di olivo e infine messo a stagionare per trenta giorni.

9- Il Fiurì

Dal latte, come del maiale, non si butta via niente. È così che è nato il Fiurì. Stiamo parlando del fiore di ricotta, il residuo che il casaro rimuove prima che la ricotta si formi. Un elemento di scarto, appunto, a cui è stata data nuova vita. Ha una consistenza cremosa, semiliquida, con un gusto delicato, dolce. È perfetto per la colazione, ma anche per accompagnare la polenta. Commercializzarlo è molto complesso, considerata la sua deperibilità. È quindi, soprattutto, un prodotto da autoconsumo.

10- Il Violino

Lo si trova soprattutto in Val Chiavenna, ma anche in Valle Camonica. Il Violino è un prosciutto aromatizzato con vino e spezie, ricavato dalla coscia della capra e che prende il suo nome dalla forma, simile al violino, e dalla sua tradizionale tecnica di taglio, che somiglia per posizione a quella di un violinista, con il prosciutto che viene appoggiato sulla spalla e il coltello che diventa un archetto.

11- Il Silter Dop

Il Silter Dop è un formaggio vaccino a pasta dura che deve essere prodotto in Valle Camonica utilizzando almeno l’80% di latte proveniente da Grigio Alpina, Pezzata Rossa e Bruna, con quest’ultima che deve rappresentare almeno il 60% delle vacche in lattazione nella singola azienda produttrice. Viene solitamente consumato da solo, ma è adatto anche per accompagnare risotti, polenta e casoncelli. Ha un sapore dolce, con note piccanti in base alla stagionatura, che non deve essere inferiore ai 100 giorni.

12- Il Tombea

Il Tombea è il formaggio della Valvestino. Viene infatti prodotto soltanto con il latte delle vacche degli alpeggi e delle stalle della zona. Questa è la sua forza, che porta tra le altre cose un’altissima qualità al prodotto, ma anche un limite per la sua commercializzazione. Dal gusto sapido e leggermente piccante nel finale, arricchito dal profumo di montagna, il Tombea viene prodotto da maggio a settembre. Perfetto come fine pasto, è adatto al consumo a partire dai 90 giorni.

13- L’Olio del Garda Dop

L’Olio del Garda Dop è ottenuto da olive di diverse varietà (Casaliva, Frantoio, Leccino e Pendolino), che devono essere raccolte entro il 15 gennaio e le cui operazioni di oleificazione vanno realizzate entro cinque giorni dalla raccolta. Sono 27 i comuni della provincia di Brescia nei quali si può produrre la denominazione e il risultato è un olio con un sapore fruttato e un retrogusto di mandorla, da conservare tra i 15 e i 28 gradi e con un’acidità massima totale di 0,5 grammi per 100 grammi.

14- Le Alborelle essiccate in salamoia

Vengono chiamate, in dialetto, àole de mura: sono le alborelle essiccate in salamoia, un’altra eccellenza gardesana. Si tratta, infatti, di pesciolini di lago fatti essiccare al sole e conservati sotto sale. Un procedimento che dona loro un gusto molto intenso e salato. Un tempo molto diffuse, oggi sono un prodotto raro.

15- Il Melone di Calvenzano

A Calvenzano, comune di nemmeno 5mila abitanti nella Bassa Bergamasca, si coltiva da secoli il melone. Un melone particolare, tanto da essere stato studiato e censito nella banca del germoplasma per la tutela della biodiversità dell’Università di Valencia, e che oggi è presidio Slow Food. Il melone di Calvenzano è un melone dalla buccia retata, omogenea e molto fitta, con picciolo piuttosto pronunciato che viene lasciato attaccato al frutto durante la raccolta. Raggiunge anche grandi dimensioni, con un peso che varia da 2 a 6 kg e una forma ovoidale. La polpa è consistente, zuccherina, con un bel colore arancione caldo e molto profumata.

16- Gli Scarpinocc

Nell’universo delle paste fresche ripiene non brilla soltanto la stella del casoncello. A Parre, piccolo comune della Val Seriana, si preparano gli Scarpinocc, che prendono il nome dalla loro forma, simile a quella delle calzature artigianali che venivano realizzate in paese. Si differenziano dai casoncelli bergamaschi perché il loro ripieno non prevede la carne, ma soltanto pan grattato, uova e grana, e il condimento non prevede la pancetta, ma come i cugini bresciani soltanto burro fuso, salvia e grana.

17- Il Bagòss

Gli abitanti di Bagolino, piccolo comune bresciano della Val di Caffaro, si chiamano Bagossi e il Bagòss è il loro formaggio: un formaggio a pasta cruda e da latte parzialmente scremato. Il suo segreto? Durante la fase di rottura della cagliata viene aggiunto un cucchiaino di zafferano. Per il disciplinare deve stagionare almeno 12 mesi, ma è più frequente lo faccia per 24 o 36. Il suo sapore è più intenso se realizzato con latte da pascolo, meno se viene utilizzato latte “invernale”. È presidio Slow Food.

18- Il Nostrano della Valtrompia Dop

Il disciplinare non prevede sconti: per essere un Nostrano della Valtrompia Dop deve essere prodotto utilizzando per almeno il 90% latte di vacche di razza Bruna. In aggiunta, deve stagionare almeno un anno. Nasce così un formaggio semigrasso a pasta extra dura, di cui si hanno tracce già dal 1500, con un sapore pieno e intenso in cui emergono pienamente tutte le complessità di una maturazione prolungata. Per questo motivo si sposa a perfezione con il miele.

19- Grana Padano Dop

Tra le zone di produzione del Grana Padano Dop ci sono anche le province di Bergamo e Brescia. L’origine del Grana Padano affonda le radici nell’anno Mille, quando i monaci cistercensi, per rispondere alla necessità di conservare il latte in eccesso che veniva prodotto sul territorio, sperimentarono la produzione di un formaggio a pasta dura che durava nel tempo, il caseus vetus, poi denominato grana. Da allora, di strada ne ha fatta, diventando uno dei simboli del made in Italy nel mondo.

20- Il Cotechino della Bergamasca

In provincia di Bergamo viene chiamato Cotechino quello che altrove, in Lombardia, è conosciuto con il nome di salamella. Lo si realizza con carni suine fresche di coscia, spalla e coppa e, per la parte grassa, sottogola o pancettone. All'impasto si aggiunge poi sale marino granulare macinato molto fino. L'impasto ottenuto viene lavorato a lungo a mano, nella tradizione, oppure con apposite impastatrici. Il prodotto viene insaccato nel budello di suino, detto "bazetta"; si forma una lunga salsiccia che viene legata con uno spago sottile così da ottenere cotechini di 10-12 cm.

 

 

21- La Polenta e osei

Sembra polenta, ma non lo è: è Polenta e osei, dolce della tradizione bergamasca. Si tratta di un pan di spagna bagnato con il rum, con l’aggiunta di creme varie. Viene poi ricoperto con marzapane giallo e zucchero, dandogli così la forma della polenta. Nella parte centrale, come decorazione, vengono messi dei piccoli uccelli di cioccolato o di marzapane. È comune vederlo in tutte le vetrine dei panifici cittadini.

22- La Salsiccia di castrato ovino

La Salsiccia di castrato ovino è un prodotto tradizionale della Valle Camonica, un insaccato fresco a base di castrato ovino (tradizionalmente pecore di razza gigante Bergamasca) sgrassato e macinato molto fine, con l’aggiunta di spezie, aglio e brodo di ossa. Viene solitamene preparata nella stagione estiva, quando la carne è più saporita. A Breno, comune bresciano, dal 2006 può fregiarsi del titolo di DeCo, denominazione comunale. La tradizione vuole che venga servita a fetta, accompagnata da patate bollite e peperonata.

23- Il Bossolà

Il Bossolà è il dolce del Natale bresciano, anche se si consuma già a partire da novembre, in occasione della commemorazione dei defunti. Ha la forma di una ciambella e una base di uova, burro e farina. Nonostante il nome somigli, rispetto al Bisulan mantovano o al Bussolano cremonese, il dolce bresciano risulta più soffice e vaporoso. Il procedimento per la sua preparazione è molto lungo. Per intenderci, la ricetta del maestro pasticcere Iginio Massari prevede ben cinque fasi di lavorazione e quasi sette ore di lievitazione.

 

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