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IA, stipendi bassi e crisi etica: Carcangiu scuote la ristorazione italiana

In vista del congresso Apci, Roberto Carcangiu lancia un allarme netto: IA che scrive i menu, stipendi crollati, scuole fuori rotta e associazioni frammentate stanno snaturando la professione. Serve restituire valore umano, etica e pensiero critico alla cucina italiana e chiede di distinguere con chiarezza ciò che è frutto della macchina e ciò che nasce dalla “mano dello chef”, unico vero valore della cucina

Mauro Taino
di Mauro Taino
Redattore
15 novembre 2025 | 11:23
IA, stipendi bassi e crisi etica: Carcangiu scuote la ristorazione italiana

La ristorazione italiana è arrivata a un bivio: tecnologia che corre più veloce delle persone, stipendi che arretrano, giovani che scappano e un’industria formativa spesso più attenta al business che alla crescita dei ragazzi. In questo scenario, una voce rompe la liturgia dell’autocelebrazione e mette a nudo le contraddizioni del settore: l’IA che sostituisce la mano dello chef, la perdita di etica, la corsa al profitto che schiaccia chi lavora davvero. Quello di Roberto Carcangiu, presidente di Apci (Associazione Professionale Cuochi Italiani) è un invito - o meglio, un avvertimento - a tornare a guardare la cucina per ciò che è: un mestiere umano, non un ingranaggio.

Il senso degli incontri: più critica, meno autocelebrazione

Per Carcangiu, che si appresta a partecipare al congresso Apci (lunedì 17 e martedì 18 novembre a Milano, ndr), questi momenti collettivi rappresentano sì un’occasione per «riconoscere il lavoro di molti colleghi», ma ancora di più un’opportunità per discutere con lucidità «di quello che è lo stato dell’arte nel nostro mondo». Non gli interessa che gli chef si incontrino solo per dirsi che «siamo più belli, bravi e simpatici», perché questo atteggiamento autoreferenziale «non ci porta da nessuna parte». Il suo obiettivo, come presidente, è creare contesti dove si possa guardare al presente del settore senza filtri, collegando ciò che è accaduto «da Expo fino ad oggi» alle trasformazioni più recenti del mondo del cibo.

IA, stipendi bassi e crisi etica: Carcangiu scuote la ristorazione italiana

Roberto Carcangiu, presidente di Apci

Carcangiu ricorda che il mondo non si ferma e non aspetta nessuno. «Possiamo solo mediarlo», afferma, e chi sostiene di poterlo cambiare completamente «di solito sta vendendo qualcosa». La vera sfida, invece, è acquisire una piena consapevolezza di ciò che sta succedendo, capire come attutire gli impatti negativi e come trasformare i mutamenti in opportunità. È, secondo lui, una caratteristica profondamente umana, «indipendente dal fatto che uno sia o meno un cuoco».

Il cuoco nell’era dell’intelligenza artificiale: «Rischiamo di essere annullati»

Per Carcangiu, valorizzare il cuoco contemporaneo significa puntare su «coscienza, conoscenza e spirito critico». La trasformazione del settore richiede professionisti capaci di interrogarsi su ciò che usano, su ciò che comunicano e sugli strumenti che adottano. Lo chef racconta un episodio significativo: un recente tavolo di lavoro, con cuochi anche di altre associazioni, dedicato all’intelligenza artificiale. «Mentre tutti ne parlavano con entusiasmo», dice, «io ho alzato la mano e ho chiesto se ci si rende conto del fatto che questi programmi, che sono anche abbastanza stupidi, rischiano di sostituire il valore dello chef». Per assurdo, afferma, l’IA può aiutare imprenditori e “mercanti” a costruire menu perfetti sulla carta ma poveri di contenuto umano, riducendo il ruolo creativo del cuoco a un semplice esecutore manuale.

Per questo annuncia che al congresso lancerà diverse «cannonate», fra cui una richiesta molto precisa: «Se un menu è scritto con l’intelligenza artificiale, deve essere dichiarato». Così come esiste la dicitura per i prodotti surgelati, anche il menu generato da IA deve essere riconoscibile. «Quel menu non è stato scritto da uno chef», insiste, «e quindi quel locale non ha uno chef: il cliente deve saperlo». Solo in questo modo la presenza reale di un cuoco potrà tornare a essere percepita come un valore autentico.

La crisi del personale: radici profonde e responsabilità diffuse

Quando si affronta il tema della difficoltà nel reperire personale, Carcangiu non usa giri di parole. Dice che potrebbe «riassumere gli ultimi 25 anni con poche parole», e pur mantenendo l’ironia evidenzia cause strutturali. La liberalizzazione delle licenze, spiega, ha generato un «massacro di locali»: aprire un ristorante era diventato conveniente per tutti, tranne che per gli chef. Questo ha scatenato una progressiva corsa al ribasso, soprattutto sugli stipendi. «Trentacinque anni fa guadagnavo tre o quattro volte quello che guadagno adesso», racconta.

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La crisi del personale è sempre più evidente

Gli chef stessi hanno parte di responsabilità. «Ci siamo fatti ammagliare dalla televisione, dall’idea dello chef artista», e per mantenere i propri compensi hanno accettato che intere brigate venissero pagate pochissimo, o addirittura sfruttate. Il risultato è che oggi esiste una forbice enorme: chef da migliaia di euro al mese e giovani a 900 euro, quando non in stage non retribuiti o addirittura a pagamento. «In dieci, quindici anni abbiamo massacrato il mercato», afferma, con una franchezza rara. Di fronte a tutto questo, Carcangiu riconosce apertamente che «i ragazzi fanno bene a non venire a lavorare da noi. Hanno ragione». È un’ammissione che vale come denuncia, ma anche come punto di partenza per immaginare un cambiamento reale.

Come invertire la rotta: ridiamo etica al lavoro e prospettive ai giovani

Quando gli si chiede cosa si possa fare, Carcangiu risponde che servirebbe una «bacchetta magica». Tuttavia individua un punto imprescindibile: restituire etica al lavoro in cucina. Significa permettere ai giovani di non essere sfruttati, di immaginare un futuro, di essere pagati in modo coerente con l’impegno richiesto. Significa rifiutare - evidenzia sempre lo chef - un modello in cui l’unico modo per guadagnare realmente è aprire un locale proprio, perché tutto il resto è sottopagato. Il problema è più ampio: «Se per tutti il fine ultimo è il denaro è logico che i ragazzi non vogliano seguirci». Le sue parole suonano come un richiamo alla responsabilità collettiva, non solo del settore, ma dell’intero sistema che ruota intorno alla ristorazione.

Sul piano normativo, Carcangiu individua due esigenze centrali che, a suo dire, dovrebbero essere affrontate immediatamente. La prima è «valorizzare il lavoro umano», accettandone difetti e imperfezioni come tratti distintivi e preziosi. La seconda è «rendere visibile il lavoro della macchina», con tutti i suoi pregi. Insiste sul fatto che «la perfezione non è figlia dell’umanità»: il valore dell’essere umano, e del cuoco in particolare, è proprio nell’imperfezione riconoscibile, nella differenza irripetibile della mano che crea.

Formazione: «Le scuole private sono aziende, quella pubblica deve formare persone, non sfruttarle»

Carcangiu affronta poi il ruolo delle scuole, ribadendo con chiarezza che «le scuole di formazione sono aziende». La scuola privata ha senso, dice, ma la scuola pubblica dovrebbe formare «cittadini migliori», non fabbricare cuochi in serie. È impensabile che un istituto alberghiero possa far cucinare mille ragazzi al giorno, e sarebbe anche inutile: molti di loro, dopo tre anni, scopriranno che vogliono fare altro. Racconta di aver diretto una scuola per 14 anni e di aver insegnato all’Etoile. Proprio per questo non si sottrae alla critica. «Che un ragazzo debba spendere 20.000 euro per imparare a fare il cuoco è vergognoso», afferma, aggiungendo una metafora spiazzante ma efficace: «Quando vai con una prostituta, lei ti dice “ti amo”. Ma il problema non è lei: il problema è quando il sistema crea il mostro perfetto e i ragazzi vengono fregati».

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Per Carcangiu vanno ripensate anche le scuole

Nei suoi corsi cerca di portare «pensiero critico», evitando prese di posizione pregiudiziali. Racconta agli studenti che non esistono documenti che definiscano cosa renda la cucina arte, né obblighi a dichiarare sponsor, né certezze sulla superiorità di alcune attrezzature spesso donate dalle aziende. «Il vostro unico bene è il cliente finale», ripete, perché è il cliente che ti rispetta quando lavori nel suo interesse, non in quello di chi vuole apparire.

Troppe associazioni? «La frammentazione ci indebolisce»

Carcangiu riconosce che la frammentazione delle associazioni «indebolisce la voce della categoria», e soprattutto riduce la capacità di esercitare un pensiero critico. Chiede ai suoi associati non lodi, ma critiche: «Ho bisogno delle vostre critiche, non delle leccate di piedi». Le critiche, spiega, sono strumenti di crescita se fondate su dati e finalizzate a capire come andare oltre. Nonostante tutto, crede ancora nella possibilità di fare rete. Con molti presidenti mantiene ottimi rapporti, e insiste sul fatto che «l’importante è che non ci sia un secondo fine». Talvolta, però, avverte che alcune associazioni si muovono solo per difendere se stesse, «e questo si percepisce chiaramente».

Il futuro tra IA e ristorazione: «È come dare una bomba atomica a tutti»

Il futuro gli appare come un «salto nel buio». Sedendo ai tavoli universitari dedicati alla ricerca e sviluppo, Carcangiu percepisce con chiarezza la portata degli strumenti che l’umanità ha oggi tra le mani. «È come mettere una bomba atomica nelle mani di tutti», dice, perché l’intelligenza artificiale può fare bene o può fare male, e nessuno può prevederne davvero l’evoluzione. Se legislatori e associazioni troveranno il coraggio di prendere decisioni coraggiose, potremo guardare al domani con qualche speranza. Se invece prevarranno egoismi e logiche di potere, «sarà tutti contro tutti», e la parte meccanicistica dell’essere umano rischierà di soffocare quella più autenticamente umana. Con una provocazione quasi distopica afferma: «Se il bene individuale diventa l’unico valore assoluto, io potrei ammazzarti perché ho bisogno di tua moglie, della tua casa, della tua auto». Una frase estrema, che però vuole illustrare il pericolo di un mondo dominato solo da interessi personali.

Il valore della mano dello chef: «Quando ami un ristorante, ami una persona»

Per Carcangiu ogni persona si nutre secondo una propria proiezione mentale, secondo un’idea personale di cibo. Quando un cliente ama un ristorante, in realtà «ama una persona», perché riconosce lo stile, l’identità, la mano dello chef. È una relazione, non un automatismo. La macchina, dice con chiarezza, «fa il McDonald’s». Lo chef, invece, interpreta bisogni e desideri. «Io scelgo di cucinare un filetto ben cotto perché so che a migliaia di persone piace così, e le faccio stare bene: questa è la differenza». Per questo la cucina è un gesto umano, prima ancora che tecnico, un atto di cura tra una persona e un’altra.

IA, stipendi bassi e crisi etica: Carcangiu scuote la ristorazione italiana

La media ristorazione è sempre più schiacciata tra fine dining e fast food e catene

Nel rivolgersi ai ragazzi che si affacciano alla cucina, Carcangiu è diretto e sincero: «Siate critici. Non inseguite le stelle: inseguite il benessere del cliente». Ribadisce che il sistema delle stelle non racconta tutta la verità, perché «nessuno spiega davvero quali meccanismi economici e quali interessi aziendali ci siano dietro quel mondo». Il rischio è che la ristorazione autentica venga schiacciata da due poli di potere: «l’iper del fine dining» e «l’ipo del fast food e delle catene». La verità, conclude, «sta nel mezzo, da sempre». Una verità semplice, ma oggi più che mai rivoluzionaria.

Una cucina umana

Il punto non è scegliere tra tecnologia e tradizione, ma decidere che valore dare all’essere umano in cucina. La mano dello chef crea relazione, identità e fiducia; la macchina esegue, senza interpretare. Se la ristorazione italiana saprà difendere questa differenza, avrà futuro. Se la cederà all’automatismo dell’IA e del mercato, resterà solo una lunga fila di menu perfetti - e nessuno capace di raccontarli.

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