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Superfici contagiate in aziende? Un "cubo" per la caccia al covid-19

Sergio Cotti
di Sergio Cotti
22 maggio 2020 | 06:50

Maniglie, piani di lavoro, macchinette del caffè, ma anche monitor, lavandini, tapparelle e interruttori della luce. I luoghi dove un virus può annidarsi e soggiornare fino a qualche giorno sono innumerevoli, anche nelle aziende, che peraltro in queste settimane si sono attrezzate per la ripartenza con una serie di disposizioni e norme di sicurezza molto rigide. Eppure la certezza di tenere fuori il Covid-19 dall’ufficio non esiste: per un’azienda, dunque, riuscire a sapere se (ed eventualmente in quale misura) è presente il virus nei suoi luoghi di lavoro, può rivelarsi molto importante per capire innanzitutto se qualcuno dei suoi dipendenti ne è affetto e, nel caso, per impedire l’insorgere di nuovi focolai.

Il macchinario che effettua il test di contaminazione ambientale - Superfici a rischio nelle aziende Un cubo a caccia del covid-19

Il macchinario che effettua il test di contaminazione ambientale

Da Lodi, primo epicentro dell’epidemia in Italia, a pochi passi dalla zona rossa istituita a fine febbraio, arriva un macchinario in grado di testare la presenza del coronavirus sulle superfici. Si chiama “bCube” e, come tradisce il nome, si presenta come un cubo dotato di una fessura in grado di ricevere i “tamponi” effettuati sui piani di lavoro e di dare una risposta certa nel giro di pochi minuti. A poche settimane dalla messa in commercio, lo utilizzano già alcune strutture sanitarie ed è stato esportato in America, dove sarà impiegato anche nelle industrie alimentari.

La tecnologia di base, sviluppata e prodotta in Italia, è realizzata in conformità alle direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per i test sul Covid-19, le stesse adoperate da tutti i primari centri diagnostici impegnati nel fronteggiare la pandemia. Per questo i risultati del macchinario sono altamente attendibili. «Lo abbiamo pensato come uno strumento per supportare la ripartenza, insieme a mascherine, guanti, distanziamento sociale e sanificazione», spiega Stefano Lo Priore, Managing Director di Hyris, l’azienda di Lodi che lo ha ideato e prodotto. «Nel contesto di una pandemia che si muove in maniera eterogenea sul territorio – aggiunge – le aziende hanno il problema di capire se chi le norme di sicurezza che stanno applicando hanno efficacia oppure no».

Stefano Lo Priore - Superfici a rischio nelle aziende Un cubo a caccia del covid-19
Stefano Lo Priore

Il senso del test è dunque quello di fornire una risposta chiara sull’eventuale contaminazione da coronavirus nell’ambiente. Ma come avviene?
Si utilizza un tampone sviluppato per catturare il virus dalle superfici, che può essere passato dov’è più alta la possibilità che queste entrino a contatto con le persone. Penso alle maniglie delle porte, all’area della pausa caffè, ai bagni. Prelevato il tampone, con un’operazione di tre minuti si carica la cartuccia con i campioni e i reagenti, si introduce nella macchina e si fa partire l’analisi.

E il risultato arriva dopo circa un’ora.
Esattamente. Il macchinario possiede un software di intelligenza artificiale che interpreta i dati e indica se il virus presente oppure no. Utilizza la stessa biochimica utilizzata sui test umani in ospedale ed è quindi del tutto attendibile. Diciamo che è un meccanismo di allarme che permette alle aziende di implementare le misure di contenimento. Al di là del singolo risultato, il test andrebbe ripetuto nel tempo; solo così è possibile avere sempre situazione sotto controllo.

Vi rivolgete a tutte le aziende?
Acquistare il macchinario ha un senso per un’azienda di almeno 100-150 dipendenti. Il costo per tampone, in questo caso, è nettamente inferiore a quello che si potrebbe fare altrove. Alle aziende più piccole consigliamo di rivolgersi a laboratori che possiedono questo macchinario e che garantiscono questo servizio anche all’interno degli stessi uffici.

Che tipo di aziende sta già utilizzando il “bCube”?
Tra i nostri clienti ci sono soprattutto istituzioni sanitarie, dunque ospedali e case di riposo, e aziende che posseggono infrastrutture di valore, dalle telecomunicazioni alle centrali nucleari. Parliamo di realtà italiane, ma anche statunitensi e canadesi, che hanno una grandissima attenzione a questo tipo di tecnologia. E proprio in America stiamo iniziando a lavorare anche con imprese che operano nel settore dell’alimentazione.

Al momento il risultato di un tampone richiede circa un’ora, ma Hyris sta lavorando a una versione successiva del macchinario che ridurrà i tempi di risposta a soli 10 minuti e triplicherà il numero di tamponi analizzabili in parallelo (al momento sono 6). Il lancio di questa nuova configurazione è previsto nel mese di ottobre 2020.

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