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A Grosseto vola il Gabbiano 3.0. Cura in sala e nel piatto

Andrea Cianferoni
di Andrea Cianferoni
30 luglio 2021 | 06:30

Lamponi gialli, uva spina, ribes, carciofi, zucchine, cetrioli, melotrie, perilla, fiordaliso, rucola selvatica, senape, fagiolini, rapa di chioggia, melanzane bianche e viola, basilico liquirizia e basilico cannella. Per non parlare dei pomodori, tra le cui varietà c’è il tomatillo messicano che sa di formaggio o il pomodoro rosa peloso. Sono solo alcuni dei prodotti coltivati nell’orto di Roselle, nell’entroterra di Grosseto, che vengono utilizzati dal trentenne chef toscano, Alessandro Rossi, nato a Chiusi in provincia di Siena, e con studi alberghieri a Chianciano Terme, al famoso istituto Pellegrino Artusi e con una prima esperienza con Filippo Germasi al ristorante Zafferano a Città della Pieve, che guida la cucina del celebre ristorante di Marina di Grosseto Il Gabbiano.

Nel curriculum di Alessandro Rossi  c’è stato il “cattivo maestro” Stefano Ciavatti, genio e sregolatezza della cucina di mare, da Fino di Rimini al Jasper di Perugia dove appunto Rossi ha lavorato per quattro anni. È stato uno dei migliori ristoranti del capoluogo umbro, altrimenti povero di alta cucina. Dopo una breve esperienza da Alessandro Dal Degan all’Hotel Europa ad Asiago è tornato in Toscana per approdare come chef e socio, alla Leggenda dei Frati di Filippo Saporito nel momento del trasferimento a Firenze. In quei due anni è arrivata anche la prima stella Michelin oltre ai due cappelli della Guida de L’Espresso. Nel giugno del 2020 è approdato, parola mai fu meno casuale, al Gabbiano 3.0 a Marina di Grosseto.

Il ristorante

Il ristorante

 

La brigata

Ad affiancare Rossi come suo sous chef e braccio destro c’è Gabriele Palazzi di Firenze, mentre a curare l’accoglienza ci pensa Tiziana Valdiserri di Livorno, rientrata da un tre stelle in Germania dopo aver lavorato da Niko Romito a Castel di Sangro e al Four Seasons di Firenze. Il Gabbiano 3.0, così si chiama la “creatura” dei cugini Marco e Riccardo Tomi, affacciato proprio sulla Marina del capoluogo maremmano, ha una posizione strategia davanti alle Formiche di Grosseto e quindi al Giglio e a due passi da Castiglione della Pescaia e Punta Ala o l’Isola d’Elba a nord, ma anche al promontorio dell’Argentario e a Giannutri a Sud.

Il ristorante, con 35 coperti, al chiuso davanti alle grandi finestre sul porto, o all’aperto sulla terrazza sopra le barche dei diportisti, ha uno stile dominato dal legno caldo e accogliente nonostante le linee pulite più che solo minimaliste. Non mancano mai i centro tavola con i fiori freschi, lo stand per la borsa delle signore e la zona bar per chi vuole un aperitivo nell’attesa del tavolo. I piatti sono in porcellana, prodotti da Gaya ceramic, un’azienda italiana trasferita da tempo a Bali che produce piatti unici per importanti ristoranti stellati nel mondo. Per il Gabbiano 3.0 sono stati pensati dai cugini Marco e Riccardo Tomi in collaborazione con lo chef, disegnati poi e realizzati da quest’azienda. Tipicamante toscana, con un’attenzione marcata ai prodotti del territorio, il menu curato da Alessandro Rossi, che predilige i sapori dell’orto di Roselle, ed i prodotti del  mare antistante al ristorante. Vengono dalla laguna di Orbetello le anguille e la bottarga. Per il pesce, Rossi gira i mercati di Livorno e Piombino, oltre che approvvigionarsi dai pescatori locali di Marina di Grosseto e meno di frequente da Porto Santo Stefano. Per le carni, invece, è ormai consolidato il rapporto tra lo chef e Casa Ceccatelli, il macellaio di Greve in Chianti che serve il Gabbiano 3.0 per animali da cortile, piccioni, manzo e maiale. Mentre le lumache di terra arrivano da un allevamento di Chiusi. L’extravergine è locale e viene prodotto con addirittura il 90% di olivastra seggianese, una varietà di oliva tipica della Maremma amiatina.

Marco e Riccardo Tomi con lo chef Alessandro Rossi

Marco e Riccardo Tomi con lo chef Alessandro Rossi

 

I menu degustazione del Gabbiano 3.0

Il primo degustazione a sei portate è un menu di mare, con qualche guizzo sulle carni. Ad esempio, la rana pescatrice è cotta avvolta da una rete di maiale (in crepinette) servita al tavolo con la propria brace, accompagnata da dei carciofi cotti al tegame con grasso di maiale. Alla base il pesce, poi in pratica le erbe della porchetta e la salsa Perigourdine con foie gras, fegato della stessa rana pescatrice e tartufo. Tra gli antipasti si segnalano il “Sanpietro in green” cotto a bassa temperatura, coperto da una pellicola di biete con una bernese al drangoncello e a tavola viene servita una salsa a base di estratti di erbe e un cedro sotto sale. Arriva tutto dall’orto. Alla rotondità del pesce e della salsa fanno da contrasto la parte amara e acida degli accompagnamenti. Da notare anche il gambero rosso ligure servito crudo con 25 pomodori diversi: crudi, cotti, marinati, essiccati accompagnato da cocomero, schiuma di cocco e scalogno. Tra i primi sta piacendo molto lo spaghettino Felicetti, cotto in estrazione di cipolla bianca, senape e croste di formaggio, servito con lumachine di mare e bottarga di Muggine di Orbetello.

Una delle creazioni dello chef

Una delle creazioni dello chef

 

Il secondo menu degustazione è un 9 portate misto. Va dalle lumache di terra come le cucinava la nonna, cotte in bianco con erbe spontanee come finocchietto, mentuccia e dragoncello poi servite con foie gras, salvia, cocco e mais a dare una carezza esotica a tortellini o piccione. I primi sono ripieni di fegatino alla Toscana, con il doppio consommé di pollo al tè fermentato, salmoriglio di mentuccia e grasso di maiale. Ma merita citare anche i maccheroncetti all’anguilla, con cipolla bianca e rapa rossa. Il piccione invece è così proposto: il petto servito con rucola selvatica e susine; la coscia cotta in barbecue servita con una salsa barbecue; il fegatino con il pan coi santi; il prosciutto di piccione.


 

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