Ho visitato la 52ª edizione del Vinitaly a Verona. Non ci andavo da alcuni anni. Più o meno la ressa di sempre; un'avventura arrivarci in macchina, più comodo il treno. Folla in tutti i padiglioni, degustazioni a go-go.
Dalla Lombardia alla Campania, dalla Sardegna al Veneto. Da solitario visitatore devo dire che il livello della qualità media si è innalzato.
Non tocca a me giudicare la “macchina da guerra” veronese più che rodata e in grado di gestire migliaia di visitatori quale è il Vinitaly. La più importante vetrina vitivinicola d'Italia rappresenta per tutti gli operatori del settore una tappa d'obbligo quanto meno per capire le tendenze del mercato e “spiare” i concorrenti.
Rimango però dell'idea che il costo del biglietto - tutt'altro che popolare - scoraggia forse l'assalto dei bevitori - di tutte le età-, ma non fa certo nascere nuovi assaggiatori, degustatori o intenditori. La cultura del vino è ben altra cosa e va creata giorno per giorno con prodotti di qualità. Le file davanti agli spazi espositivi di alcune blasonate cantine lombarde e venete mi convincono sempre della necessità di avviare nuovi percorsi formativi alla scoperta dei territori.
Due esempi su tutti per stare vicino a casa. Fa specie vedere come la viticoltura eroica della Valtellina si sia ritagliata uno spazio più che dignitoso e originale valorizzando il lavoro di piccoli artigiani che per vivere hanno saputo sfruttare far fruttare anche i pendii delle montagne. Sull'altro fronte vi è l’Oltrepò pavese che fa fatica, tanta fatica, a risollevarsi dalla crisi degli anni scorsi. Eppure i 13.269 ettari lombardo-liguri-emiliani sono vocati per i grandi vini, ma quelle terre sono alla ricerca di un "cavaliere bianco" che li sappia rilanciare.