Luca Martini (nella foto), miglior sommelier del mondo 2013, è anche titolare di due ristoranti, il Blend4 di Azzate (Va) e l’Osteria da Giovanna di Arezzo. Gestisce Sommelier Consulting, società di consulenze per le aziende. Si occupa di selezioni di vini di qualità superiore per clienti privati e per nomi importanti della moda; è vicino all’azienda agricola Montalbera, che di recente ha lanciato sul mercato primo Ruchè vegano. Viene dunque spontaneo affidarsi a Luca Martini per capire cosa si intende per vino vegano, come si produce e come si certifica.
Come si può definire il vino vegano?
È un vino prodotto senza alcuna interazione con prodotti animali o derivati da animali sia nel vigneto, sia in cantina. Per quanto riguarda la vinificazione si tratta di vini che non subiscono chiarificazioni con caseine, albumine che sono di derivazione animale. Da un punto di vista agronomico, i vigneti non sono concimati con letame, ma utilizzando tecniche naturali come il sovescio, o il favino, consistente ribaltamento delle zolle.
Sono ammessi i fertilizzanti chimici?
Certo, si potrebbero utilizzare. La certificazione vegana non è biologica o biodinamica anche perché, per esempio, nel metodo biodinamico vengono utilizzati letame e corno di bue per ottenere il concime, pratica che non rispetta la filosofia vegana, anche se osserva quella naturale del prodotto vino. Di fatto ai concimi chimici sono preferibili le pratiche naturali di cui ho accennato, adottate dall’azienda Montalbera.
C’è un organo di controllo che certifica i vini vegani?
Sì, certamente, è l’Sgs Italia. Per cui il vino è riconoscibile in quanto in etichetta riporta come logo una “V” e la scritta vino vegan, vegan wine con il disegno di un germoglio. La scritta è verde e questo colore è associato al biologico, al naturale, all’ulivo, alla pace, ma ciò nonostante non è scontato che il vino vegano non contenga solfiti o che sia prodotto in regime biologico; queste sono scelte che deve effettuare l’azienda. Il vino vegano si trova a tavola frequentemente, la certificazione è un plus; molti vini potrebbero dirsi vegani, ma non sempre vengono classificati tali. La certificazione è un costo che l’azienda si assume per poter stampare sulla contro-etichetta del vino il logo vegano in modo che il consumatore possa individuarlo senza dover fare ricerche, così da avere subito una garanzia.
Alla degustazione il vino vegano è riconoscibile?
No, sfido chiunque, a riconoscerlo, al contrario di un vino biodinamico rispetto a uno convenzionale dove c’è una riconoscibilità riconducibile all’elettrostaticità gustativa, vale a dire che a livello gustativo si avverte il vino biodinamico più vivo rispetto a uno convenzionale che è più sterile. Nel caso vegano l’utilizzo di una sostanza chiarificante del vino non di origine animale, non incide sulle caratteristiche organolettiche finali del vino.
Il vino vegano si può invecchiare?
Nessun limite all’invecchiamento. La pratica vegana non va a influire sulla longevità del prodotto. Molti vini che non sono certificati vegani lo sono di fatto e possono essere proiettati per durare vent’anni. Il vegano per quanto non sia sinonimo di longevità, non la esclude.
Il mercato del vino vegano?
È un mercato in espansione perché il consumatore cerca sempre più la certificazione nel prodotto in campo alimentare (gluten free, bio…) che sta prendendo sempre più campo. Vi sono segmenti all’interno della grande distribuzione, che rispettano queste esigenze alimentari, in Italia, ma soprattutto all’estero. Analogamente il vegano vuole avere una garanzia in tal senso.