Cercasi cuoco! È la frase più ripetuta e più presente su tutti i social, è la frase più frequente quando ci si parla tra colleghi, spesso con il timore di trasmettere una incapacità professionale. Come mai, nonostante la grande esposizione mediatica del settore e le centinaia di iscritti alle scuole professionali del settore, siamo in questa situazione? Perché non si trova personale? La colpa è del settore in generale o delle scuole, probabilmente di entrambi. Io che insegno Cucina ad un triennio superiore sono particolarmente preoccupato, sono veramente pochi quelli che diverranno “Cuochi”, poche decine su centinaia di allievi. Perché?
Responsabilità della scuola: certamente, non c’è ombra di dubbio, le scuole professionali fanno fatica a intercettare le necessità del mondo del lavoro, anche se timidamente qualcosa di nuovo è apparso all’orizzonte con il Jobs Act (stage più lunghi, addirittura 330 ore continuative, quasi tre mesi), il decreto Buona Scuola prevede anche un apprendistato “duale” con periodi di lavoro vero e proprio in alternanza ai periodi scolastici. Insomma qualcosa si muove. Ma pur essendo in presenza di nuove modalità formative, il settore resta orfano di nuovi collaboratori professionali e motivati.
È anche vero che pochissime scuole sono attrezzate con cucine e strumenti tecnici in grado di offrire agli allievi una parvenza di formazione professionale. È anche vero che i docenti non frequentano corsi di aggiornamento per imparare le nuove dinamiche della gastronomia. È anche vero che i nostri allievi non conoscono le lingue straniere, capaci di aprire orizzonti lavorativi all’estero. È anche vero che gli allievi “inviati” in stage spesso ne escono spaventati per la dinamicità del lavoro. È incredibile che anche le famiglie siano inconsapevoli della modalità operativa della cucina, abituate a settimane bianche, ponti e vacanze programmate, trovandosi poi spiazzate dalla diversità tra mondo scolastico e mondo del lavoro.
Qualche giorno fa un mio cliente, titolare di un’azienda di ristorazione commerciale, giocando d’anticipo mi raccontava che volevano investire su giovani cuochi, volendo quasi creare un vivaio interno, e dopo aver dato mandato ad un’agenzia esterna, hanno selezionato 30 ragazzi. Di questi, 10 sono stati inviati in azienda per un periodo di prova. Risultato: nessun assunto. I tempi di lavoro, sabato e domenica, sia pure a turni, hanno scoraggiato i ragazzi e nessuno ha voluto proseguire.
Ma i cuochi hanno anche loro una responsabilità? La cucina in televisione non aiuta. In tanti credono veramente che si possa diventare chef con pochi mesi di studio o di pratica, e che pur avendo svolto altri mestieri, magari con un po’ di passione (della serie: “a casa cucino io, anche per gli amici”) sia possibile “inventarsi” il mestiere di cuoco, spinti da una necessità economica, sia pur giustificata. In fondo è la stessa situazione di chi, avendo frequentato per anni scuole di recitazione teatrale, poi si vede surclassato da chi per pochi mesi partecipa ai vari reality. Essere cuoco è il frutto di anni e anni di lavoro, di studio, di gavetta, di curiosità, di umiltà, doti fondamentali che difficilmente vengono insegnate a scuola.
Come fare? Intanto, per esempio, credo sia necessario dare visibilità al lavoro dei docenti e alle scuole e creare sempre più collegamenti con il mondo del lavoro. Oggi siamo presi da eventi gastronomici più o meno nazionali, in cui si riflette e risplende l’eccellenza del settore. Cuochi famosi si contendono la copertina di momenti ricchi di creatività e di storia professionale. Forse bisognerebbe coinvolgere le scuole del settore. Come spesso accade, si cerca “manodopera a costo zero”, ricompensata con applausi e sfilate ad ogni fine evento. Ma questo non basta.
Le Associazioni di cuochi potrebbero adottare le scuole dei propri territori, creare vere e proprie sedi distaccate all’interno delle stesse, far respirare agli allievi e ai docenti l’aria della vita professionale, diventando - le associazioni stesse - il ponte con il mercato, selezionando i luoghi più adatti per gli stage, creando un database degli allievi più meritevoli da indirizzare per un successivo apprendistato o collegamento con le cucine, creando veri “tutor” che possano stimolare la scuola per iniziative di formazione specializzata, e magari coinvolgendo le aziende fornitrici di materiale tecnico che in qualche maniera possano rifornire le cucine delle stesse scuole con campioni di strumentazione, pentole, coltelli e simili.
È importante creare un filo diretto con le associazioni imprenditoriali e sindacali - penso alla Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi - e cercare di modificare il comportamento di chi vede nella scuola e negli stage un bacino di utenza per personale a basso costo. Bisogna stimolare le imprese a investire in quello che domani sarà il nuovo personale, i nuovi collaboratori.
Infine, voi cuochi cercate di essere i primi testimonial di questo fantastico e faticoso lavoro. I ragazzi devono intravedere in voi esempi di vita, di passione, ma anche di umiltà. Dovete essere capaci di trasmettere una speranza, una concretezza che può essere per molti un obiettivo da raggiungere, un sogno realizzabile. Meno show, meno televisione, e più cucina!