Ci tiene tantissimo alle sue origini friulane Luca Veritti (nella foto), anzi precisa di essere di Tolmezzo, il cuore pulsante della Carnia, terra di tradizioni gastronomiche “robuste”, di piatti di sostanza. Luca, classe 1979, però da bambino non era una buona forchetta, non dava soddisfazione ai piatti preparati dalla mamma e i suoi studi si sono inizialmente orientati verso il diploma di Perito commerciale.
La scintilla è scoccata frequentando la cucina del ristorante della sorella ed è stato amore vero, che lo ha portato a frequentare la Scuola di Cucina Alma, mettendosi in luce al punto che Gualtiero Marchesi lo vuole come capopartita a Erbusco, pochi giorni dopo il diploma. Seguiranno due anni a Bergamo nella cucine del Da Vittorio e sarà un'esperienza fondamentale; responsabile di carni e pesci.
Nel 2012 la grande occasione: executive chef al Met Restaurant, all'interno di uno degli alberghi più quotati di Venezia, il Metropole, in posizione privilegiata a due passi da San Marco. Qui trova il terreno fertile per mettere a frutto talento ed esperienze e saranno fuochi d'artificio gastronomici, che lo porteranno in breve tempo a conquistare la prima stella Michelin attorniato da una brigata giovane, dinamica ed affiatata.
Il Maestro Marchesi aveva ancora una volta visto lontano perché quella di Veritti è la prima stella conquistata da un allievo diplomato Alma.
Da bambino cosa sognavi di diventare?
Volevo fare o il pompiere o il camionista.
Il primo sapore che ti ricordi?
Da bambino ero uno schizzinoso e mangiavo veramente poco, al punto di far preoccupare mia mamma. Poi ho recuperato dopo, e mi ricordo che l’unica cosa che mangiavo era il Parmigiano Reggiano.
Qual è il senso più importante?
Il gusto e l’olfatto. Ma credo che il senso delle cose che si fanno sia la cosa più importante. In un piatto bisogna inserire tutti i sensi e il piatto deve avere un senso, una storia, un racconto.
Il piatto più difficile che tu abbia mai realizzato?
La prima volta nella cucina del mio grande maestro Luciano Tona. Non mi ricordo cosa ho cucinato ma ero talmente in ansia e nervoso che anche una bruschetta al pomodoro sarebbe stata difficile.
Come hai speso il primo stipendio?
Non ricordo. Sono abbastanza oculato, ma mi tolgo anche qualche sfizio. Credo che a quei tempi lo abbia speso andando a mangiare in qualche ristorante stellato.
Quali sono i tre piatti che nella vita non si può assolutamente fare a meno di provare?
Il minestrone di mia madre, poesia pura. L’orecchia di elefante del ristorante da Vittorio, gigante e sublime. Pane di Montegemoli strusciato con i pomodori dell’orto di Adelmo che mangiavo quando lavoravo al Mocajo in Toscana, rustico, semplice ma irresistibile.
Cosa non manca mai nel frigo di casa tua?
Mangiando davvero raramente a casa, in frigo ho sempre yogurt, latte e il necessario per fare un toast o un panino veloce.
Qual è il tuo cibo consolatorio?
I dolci, soprattutto il cioccolato.
Che rapporto hai con le tecnologie?
Vivo con la tecnologia sia in cucina che fuori. La adoro e sono sempre al passo con i tempi.
All’Inferno ti obbligano a mangiare sempre un piatto: quale?
All’inferno? Foie gras a scoppiare… lo adoro!
Chi inviteresti alla cena dei tuoi sogni?
Ogni volta che esco a cena con la mia dolce metà è una cena da sogno. Porterei lei sempre, comunque e ovunque.
Quale quadro o opera d’arte rappresenta meglio la tua cucina?
Io adoro Magritte e io suoi quadri molto particolari. I miei piatti contemporanei anno sempre qualcosa che ti stupisce come i quadri Magritte.
Se la tua cucina fosse una canzone quale sarebbe?
Difficile. Io adoro la musica rock anni 70-80. Diciamo un misto fra Led Zeppelin, Iron Maiden e Creedence Clearwater Revival. Ma ne dimentico sicuramente tanti altri.