L’anno nuovo ha ufficialmente preso il via, e tra buoni propositi e la speranza di una ripresa economica, sugli italiani continua a gravare una costante: il duro sistema di tassazione. Tra i numerosi rincari che caratterizzano l’inizio del 2014, l’aumento della Tares, la nuova tassa sui rifiuti, introdotta dal Governo Monti e in vigore dal primo gennaio 2013, suscita lo sconcerto dei cittadini, e di un settore in particolare, quello della ristorazione, che come tutti gli esercizi commerciali si ritrova ad essere fortemente colpito da tale imposta, che varia da comune a comune, ma rimane nella maggior parte dei casi eccessiva.
La situazione è penosa e c'è bisogno di una svolta in tale ambito, come sostiene il presidente di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), Lino Enrico Stoppani (nella foto), il quale dichiara ad Italia a Tavola: «La nuova tassa sui rifiuti si fonda su coefficienti aleatori che generano forti sperequazioni tra utenze domestiche e non domestiche, e tra queste ultime, tra le diverse attività economiche, all’interno delle quali non è stata neppure considerata la stagionalità di alcune attività! Bar e ristoranti in quanto reputate attività ad elevata producibilità di rifiuti, si vedono applicati i maggiori coefficienti, che hanno portato ad aumenti straordinari (nell’ordine anche del 400%), inaccettabili».
«La simulazione effettuata dalla Fipe - continua Stoppani - porta ad un risultato che vede i pubblici esercizi pagare anche un quota del servizio per rifiuti che non producono, con un costo aggiuntivo per il settore stimato in oltre 150 milioni di euro, che impone rettifiche al sistema di tariffazione. L'impegno sindacale sul tema non è stato percepito, anche perché rispetto al testo iniziale, alcune migliorie economiche sono state ottenute, anche se evidentemente non sufficienti rispetto alle giuste aspettative della base associativa. Il tema della tassazione sulla casa, tra cui la tassa sui rifiuti, è però ancora un capitolo aperto, nel quale si spera di riuscire a far passare qualche emendamento migliorativo rispetto ad una tassazione oggi eccessivamente onerosa.»
«È una situazione kafkiana», ci spiega Matteo Scibilia dell’Osteria della Buona Condotta di Ornago (Mb). «Hanno eliminato l’Ici ma non hanno fatto altro che rimpiazzarla con altre imposte. Ci troviamo in una situazione impossibile, pesante, al limite della sostenibilità. Per fortuna qualcuno alza la voce... Nel nostro comune l’aumento della tassa sui rifiuti è stata del 50%, ma pur lavorando bene (nel mese di dicembre abbiamo avuto molti clienti) non ce la facciamo a pagare questa tassa. Del resto i prezzi non possiamo aumentarli, anzi, vista la situazione generale siamo costretti a diminuirli...».
«La Tares è raddoppiata anche qui», ci dice Giancarlo Morelli del Ristorante Pomiroeu di Seregno (Mb). «C’è una situazione di omertà incredibile da parte delle istituzioni. Negli ultimi mesi abbiamo registrato aumenti spropositati (e occulti) delle tasse di gas e corrente elettrica. Paghiamo quasi il doppio, ma nessuno ne parla. E poi è aumentato di molto anche il costo del personale, la parte a carico dell’impresa... In più ora c’è questo rincaro della tassa sui rifiuti: una vera stangata per il mondo della ristorazione. Prevedo che quest’anno ci saranno tante chiusure».
Tra i ristoratori c’è chi parla di un aumento del 150% rispetto all’ultimo pagamento, e chi addirittura azzarda un +480%. Cifre assurde, che suscitano l’ira dei gestori dei ristoranti, uniti in una solida protesta. Parte da Genova una decisa opposizione a questo aumento spropositato; Giorgio Bove dell’Antica Osteria della Castagna, presidente di Fepag Ascom, la cui tassa è passata da 4.500 a 8.500 euro, ha dichiarato al Secolo XIX: «No grazie, preferisco pagare lo stipendio ai dipendenti». Dello stesso avviso Luciano Belloni, del ristorante Zeffirino: «Il mio bollettino è di quasi 14mila euro, cioè il doppio di un anno fa, dunque l’ho messo in un cassetto».
Vale ben poco l’opzione prevista dal comune di Genova, che autorizza il pagamento della Tares in tre rate; già qualche locale infatti, è stato costretto a chiudere i battenti, come lo storico “Ferrando” di San Cipriano (Ge), che ha prestato l’ultimo servizio ieri, giorno dell’Epifania.
Per alcuni la rabbia si converte in una triste rassegnazione, e come sostiene Annie Feolde, chef dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze: «Reagire è inutile. È soltanto una perdita di tempo, che non porta a nulla. Ormai sono abituata a questi soprusi. Sono molte le cose da cambiare. Onestamente, non so quanto pagherò di più. Dovrei chiederlo al contabile che se ne occupa. Ma prevedo una cifra molto elevata».
Deciso il disappunto di Marco Parizzi, chef dell’omonimo ristorante di Parma, il quale confessa: «La mia è la città più tassata d’Italia, la Tares è una parte del tutto. Occorre una svolta radicale, la protesta spicciola non serve. Si deve cambiare il governo. Quanto pago? Millecinquecento euro, l’anno scorso. Ora, se non sbaglio, mi hanno prospettato un aumento del 150%».
Il malcontento dunque è generalizzato e vede coinvolti attivamente tutti i ristoratori d’Italia, ma a “rincarare la dose” ci si mette il parametro in base al quale viene calcolato l’aumento della Tares, ovvero rispetto alla superficie dell’esercizio (più 0,30 centesimi al metro quadrato, sancisce il decreto Salva-Italia) e non, come vorrebbe la logica, rispetto al volume d’affari. Lo stesso Ciccio Sultano, chef patron del “Duomo” di Ragusa Ibla (Rg) afferma: «Mi salvo perché il mio locale è piccolo, 200 metri quadri. In ogni caso, da 350-400 euro sono passato a 1200. Tuttavia, capisco la reazione dei genovesi. Così non si può andare avanti. La protesta serve almeno come segnale d’allarme. Per dire “state esagerando”».
Non c’è dubbio però che un pagamento così elevato debba corrispondere ad un servizio di trattamento dei rifiuti eccellente, come sostiene Francesco Cerea, titolare con il fratello Chicco del ristorante “Vittorio” a Brusaporto, oltre che gestore del ristorante del Carlton hotel a St. Moritz: «Noi per primi dobbiamo organizzarci per una raccolta differenziata attenta, qualificata. Pagando, però, dovremmo avere un servizio ineccepibile. Quanto alle proteste, occorre muoversi a livello nazionale. Altrimenti non servono. I ristoratori italiani se vogliono rispetto e ascolto dovrebbero guardare alla Francia. Dove i nostri colleghi marciano all’unisono».
Anziché valorizzare una delle punte di diamante del made in Italy, fonte di turismo e ricchezza per il Paese, la Tares la danneggia gravemente; la pensa così lo chef Andrea Berton, il quale commenta: «Invece di agevolare la ristorazione italiana, che dà valore, attrae turismo, insomma è un fiore all’occhiello per il Paese, la si penalizza tartassandola di tasse. Assurdo. Così, non si stimolano gli investimenti. Al contrario. La mia Tares? Vado a spanne: mi hanno riferito che gli aumenti si aggirano attorno al 480%».
In pochi pensano invece che a nulla valga una protesta nei confronti di questa nuova tassa, e che dunque l’unica soluzione sia pagare; così Arrigo Cipriani, patron dell’Harry’s Bar di Venezia: «Bisogna pagare. È inutile adottare metodi ribellisti come a Genova. Per quanto mi riguarda, la botta è alta, considerando il fatto che, per motivi di spazio, all’Harry’s abbiamo una doppia raccolta giornaliera». Una voce fuori dal coro, certamente motivata, ma distante da quanti in questi giorni si sono uniti, per una giusta causa, e hanno detto un “No” sicuro agli eccessi della politica, nella speranza, questa volta, di essere ascoltati.