Prendo spunto da un articolo, a dire il vero quasi una pagina completa, del Corriere della sera di giovedì 12 settembre, a titolo “La tassa ombra al ristorante” di Marina Sogliani. Ormai è uno sport nazionale: tra recensioni fasulle di TripAdvisor e cuochi in televisione, ormai il cibo è un totem e la critica ai ristoratori è appunto lo sport di tanti, tutti bravi a criticare il nostro lavoro (non che non ci siano motivi per non farlo...). E via con nome e cognome, indirizzi di aziende private che vengono messe alla berlina di tutti, rei di grandissime colpe, e grazie al web le critiche spesso sono anonime. Chissà perché non si fa così con notai, avvocati, commercialisti, elettricisti. Solo il ristoratore è meritevole di tanta “pubblicità”? Nell’articolo della Sogliani non c’è anonimato, per questo rispondo.
Tutti insieme in questa campagna di tutela dei turisti e dei cittadini-clienti, che sono ostaggi di tanti altri disservizi soprattutto pubblici, tant’è che “fa figo” attaccare i pubblici esercizi. Per carità, non sono qui a difenderli a spada tratta. Io stesso giorni fa in un ristorante ho pagato 4 euro di coperto senza ricevere poco in cambio se non del buon pane e grissini, ma ho mangiato bene.
Ma non è questo il punto. Lo “sport”, unito ad ignoranza imprenditoriale, lascia presupporre che i tanti che scrivono di ristorazione siano convinti che il costo al ristorante, o al bar, sia la somma delle materie prime nel piatto o nel bicchiere consumate dal cliente, dimenticando per esempio che nei costi e nel food cost è compresa anche la carta igienica, anche se uno non va mai ai servizi. Certo l’anacronismo della voce “coperto” sembrerebbe uno scandalo nazionale, anzi europeo, anzi mondiale. E con tanta semplicità si raffronta il nostro settore alle realtà degli altri Paesi.
Ma chi scrive di questi argomenti è mai andato all’estero? Di recente sono stato a Bruxelles, l’acqua minerale quando va bene costa 8-10 euro la bottiglia, ovunque nella città. Stesso dicasi della Francia, dove tra l’altro i ricarichi del vino mediamente sono tripli che in Italia. In Germania il caffè costa il triplo che da noi e le mance sono quasi obbligatorie ovunque. Per non parlare degli States, dove è addirittura la componente più importante degli stipendi: negli Starbucks il caffè costa mediamente dai 3 ai 5 dollari, contro 1 euro dei nostri bar (e sì che l’energia elettrica in Italia è la più cara d’Europa...).
Un mio amico ha acquistato una casa di 70 mq in Francia, gli hanno concesso 45 kilowatt di energia, mentre da noi sono 2-4 kilowatt. Certo i francesi hanno l’energia nucleare, mentre i nostri costi di commissione delle carte di credito sono doppi rispetto agli altri Paesi. E il quadro, certamente non completo, si può chiudere con il costo del lavoro più alto d’Europa. E noi stiamo a discutere del coperto? Certo, bisognerebbe eliminarlo e spalmarlo sulle voci di tutto il menu. Però, aggiungo, con quale diritto si può intervenire nella gestione di un’azienda privata obbligandola a modificare la sua struttura economica?
Chiedo ai soggetti che nell’articolo sono intervenuti in maniera seria o ironica - e naturalmente mi riferisco al dirigente Fipe Alfredo Zini e al giornalista Valerio M. Visentin ed alla stessa Marina Sogliani - di organizzare un tavolo o un convegno sull’argomento che preveda anche una difesa della ristorazione, ascoltandone le problematiche. Sono d’accordo con Zini quando dice che ci vorrebbe più formazione, anche per gli stessi imprenditori, ma non è facile. Nella solitudine in cui gli stessi vivono ci vorrebbe una sferzata e un’iniezione di speranza e fiducia, non facile in questo momento. Però si potrebbe provare. Sarebbe un bene per tutti in vista dell’Expo e dei milioni (?) di turisti attesi.