L'economia è regolata da leggi per lo più costanti, eterne, comunque certe. Ma queste vanno situazionalizzate: rese cioè applicabili ai casi concreti, ai periodi storici, ai territori di produzione ed a quelli di fruizione. Mai come nei giorni che viviamo sono venuti al pettine i nodi provocati da chi non ha voluto o saputo applicare la logica del mercato. Produrre per vendere: è ormai una realtà tanto ovvia quanto ineludibile. E così, chi non ne ha fatto un credo e un binario di marcia, si trova spiazzato: cioè fuori mercato, appunto.
è il caso di certe filosofie (e delle corrispondenti produzioni) meridionali, mediterranee. Quindi anche siciliane. A queste latitudini si è preteso a lungo di ignorare il balance fra domanda e offerta. E ne son venute fuori le eccedenze, poi forzosamente smaltite: a tonnellate gli agrumi schiacciati, milioni gli ettolitri di vino distillati... Di contro non si è avuta la capacità di puntare i piedi nel reclamare le vocazionalità vere, né di investire risorse continue ed intelligenti per promuovere le grandi tipicità.
Abbiamo voluto ignorare regole elementari e perciò basilari: per esempio, quella per la quale quando il mercato prossimo, nazionale, è saturo o non più ricettivo, è obbligatorio puntare su quelli esteri, più vasti e più "vergini". O quell'altra secondo cui proprio in un trend di contrazione dei consumi, bisogna aumentare le risorse per promuoverli. E facciamo finta di non sapere che - per dirla "alla Catalano" - è più facile farsi aiutare dai connazionali che non dagli estranei. Così come si entra meglio presentando prima i prodotti più famosi che non quelli sconosciuti.
Abbiamo inseguito sviluppi improbabili, distogliendo energie umane e finanziarie, a discapito delle opportunità vicine, anzi endogene. Possibili e autoctone, a portata di mano. Fatte in casa. E così lasciamo alla... licenza poetica di tutti i candidati di tutte le campagne elettorali lo scoprire che in tanto possiamo progredire, in quanto sapremo concentrarci su agricoltura e turismo. Ricchezze tanto scontate, quanto ancora soltanto potenziali.
Ma ciò che è davvero grave non è il solo fatto che siamo parecchio arretrati nella qualità delle nostre offerte turistiche ed agricole, ma che ci permettiamo addirittura il lusso di rinunciare ad una veicolazione corretta di tali unici nostri richiami nei riguardi dei possibili fruitori, nei confronti della domanda: che rimane inespressa perché non sollecitata. Insomma, in epoca di mercato globale, arriviamo (a stento) a quello rionale. Negli anni del fax, anzi di Internet, noi siamo fermi al tam-tam e ai segnali di fumo...
E così, "dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur": mentre nei luoghi della politica si discute, si dibatte e ci si accapiglia, la Sicilia viene impoverita, perde treni e diligenze, locomotive e "pendolini", comitive e consumatori. Rimane cioè - tutta - fuori mercato.
Un recente rapporto di America Oggi - unico quotidiano italiano edito fuori d'Italia - ci racconta fedelmente della molteplicità dei convegni svoltisi a New York, negli ultimi anni, sul rilancio delle importazioni di prodotti provenienti dalla Sicilia. Non pochi gli incontri con gli operatori economici:... "fiumi di parole" sulla volontà di inondare la big apple con i vini siciliani. Chi scrive ha avuto modo di constatare direttamente una tale realtà, di toccarla con mano. Trovando conferma che il made in Sicily "tira", specialmente negli Stati Uniti.
Sarebbe ancora il momento buono: Sicilia è bello, adesso. L'inviata di quel giornale italo/americano, Graziella Bivona (componente del Com.it.es), attribuiva le colpe dell'inefficace esportazione dei nostri vini in Usa a due ordini di motivi:
1) "Fra di noi ci si lamenta sempre del fatto che nessuno fa niente. Ma nessuno si lamenta con le persone giuste".
2) Manca una vera politica regionale di scambi commerciali con l'estero.
Negli ultimi anni, numerosi rappresentanti del Governo Regionale Siciliano sono andati a visitare le comunità siciliane in America e altrove. I temi principali delle varie tavole rotonde, specialmente con gli operatori economici, hanno sempre riguardato la necessità di rafforzare i legami commerciali, di rilanciare l'economia siciliana, ma soprattutto l'immagine generale della Sicilia nel mondo. Evitando, però, di commettere gli stessi presuntuosi errori di sempre: abbiamo il sole e il mare, i nostri vini sono i migliori del mondo...
Intanto, i produttori - dopo aver attuato una seria indagine di mercato - devono puntare a prodotti adeguati alle esigenze ed ai gusti dei consumatori del Paese verso cui si vuole esportare. La Regione deve fare la sua parte nel regolamentare i suoi interventi e agevolare queste iniziative con la sua partecipazione e con finanziamenti ben mirati, organici, stabili (e non di pur lodevole circostanza), gestibili direttamente da chi produce, senza più cercare intermediazioni con altri enti convenzionati.
Bisogna coniugare un nuovo binomio "sicilianità-imprenditorialità": per superare i vari problemi che si frappongono all'export. Affidandone le soluzioni a una regìa unica, a un pensatoio super partes: che possa però anche decidere, amministrare, assumere e licenziare, in piena autonomia, senza gelosie... da orticello.
In tutti gli Stati Uniti, in tutti i Paesi del mondo, esiste una grande risorsa siciliana: si chiama "emigrazione". La Regione Siciliana deve creare contatti sani e duraturi con la Sicilia che vive all'estero e che è capace di stimolare positivamente le iniziative utili a rinvigorire l'esportazione.
Sono milioni i siciliani di seconda e terza generazione che vivono a New York, Buenos Aires, Chicago, Caracas, Sidney, Francoforte, Melbourne, Zurigo, Toronto, Los Angeles, Montreal, Miami, Londra, Detroit...
Per la gran parte si tratta davvero di persone ormai affermate, che sono almeno riuscite anche a scrollarsi di dosso i luoghi comuni di certa cinematografia e di certa letteratura, che hanno ampiamente riscattato il gap di partenza, integrandosi perfettamente, anzi emergendo in quei contesti sociali prima a loro perfino ostili. Ma ciascuno di essi ha conservato la propria identità (spesso anche il proprio dialetto) di Siciliano: non solo per facile sentimentalismo, ormai desueto.
Bensì per il bisogno di riconoscersi nelle proprie radici, nel Dna dei propri cognomi: tutti intraducibili perché con la vocale finale. Ognuna di queste persone continua a consumare prodotti siciliani, li promuove facendoli assaggiare, parlandone e offrendoli, magari anche vendendoli. Ciascuno di questi Siciliani all'estero, tiene sempre in frigo una bottiglia di vino bianco siciliano (un Alcamo, magari) e in dispensa una di rosso (dell'Etna, forse, o un Cerasuolo di Vittoria): ne beve a tavola, non solo con i parenti e i conterranei. E' come la Madonna patrona del paese d'origine. Le tradizioni vanno appropriate e continuate. Poi trasmesse ai figli.
Sono questi i migliori messaggeri della nostra enogastronomia, intesa e vissuta come mix di sapori e sentimenti, di profumi e di cultura, di aromi e patrimoni inimitabili. Tipici. Ma sbagliano i produttori che mirano ad un prodotto per il consumo dei Siciliani: bisogna etnicizzare le produzioni e poi renderle universali. Nel contenuto e nel packaging: che devono entrambi attualizzarsi, diventare moderni e accettati. Un buon Passito di Pantelleria,per esempio. Magari liquoroso, giovane e seducente.
Loro, i siciliani d'America e d'Australia, di Svizzera e di Germania, malgrado le delusioni subìte dalla terra-madre, vogliono continuare il dialogo, le abitudini e i consumi. "Dalla Sicilia - dicono - si potrebbe esportare almeno il triplo rispetto all'attuale volume d'affari". Gli spazi ci sono, la domanda è in aumento. Il tandem cibo-vino siciliano è vincente. E tutto ciò può annettersi alla cultura della qualità che ormai costituisce "vissuto" delle produzioni mediterranee. Ma si deve realizzare un programma d'intesa fra la Regione e le comunità siciliane all'estero. Bisogna fare un salto di qualità nella commercializzazione, intensificare le presenze di uomini e cose nei posti e nei momenti giusti: degustazioni, giornali e fiere che contano. C'è più di una Sicilia che vive fuori dall'isola. E ce n'è almeno un'altra ancora tutta da esportare...