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Alla scoperta delle denominazioni del vino del Canavese

Erbaluce di Caluso Docg, Carema Doc e Canavese Doc: un itinerario tra cantine storiche ed etichette pregiate, dove vitigni autoctoni, paesaggi alpini e produttori appassionati raccontano il legame col territorio

 
25 settembre 2025 | 09:30

Alla scoperta delle denominazioni del vino del Canavese

Erbaluce di Caluso Docg, Carema Doc e Canavese Doc: un itinerario tra cantine storiche ed etichette pregiate, dove vitigni autoctoni, paesaggi alpini e produttori appassionati raccontano il legame col territorio

25 settembre 2025 | 09:30
 

In compagnia degli amici del Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione dei vini Docg di Caluso e doc di Carema e Canavese siamo andati alla scoperta di tre denominazioni a nord del Piemonte, nell’estremo territorio torinese al confine con la Valle d’Aosta. Tra “topie” e “pilun” - le strutture che costituiscono la pergola canavesana - fanno bella mostra le viti di Erbaluce, mentre il Picutener (Nebbiolo) spadroneggia tra i vitigni a bacca scura.

Alla scoperta delle denominazioni del vino del Canavese

La Passitaia Erbaluce

Incuneandoci profondamente nelle valli in direzione Forno, le cui frazioni e borgate rappresentano il limite dell’Alto Canavese a sud-est del Monte Soglio (Alpi Graie), puntiamo verso la Cantina Rostagno e poi a Levone, dove ha sede l’azienda agricola Le Masche di Lorenzo Simone, vicepresidente del Consorzio. Nei pressi di Forno si trova l'unico mulino a vento in stile olandese sul suolo italiano, il Mulino Val - “luogo del cuore” Fai - elevato su un colle a più di 800 metri d’altitudine e già ben visibile dalla provinciale che sale da Barbania.

Ci troviamo alla destra orografica del torrente Orco, le cui acque sorgono oltre i 3.000 metri del massiccio del Gran Paradiso quasi al confine con la Francia, per poi aumentare la sua portata dopo il bellissimo lago artificiale di Ceresole. In questa zona occidentale del Canavese i terreni sono di origine montana, non morenica come quelli dell'anfiteatro eporediese: rocciosi, drenanti, nel complesso poveri di sostanza organica e quindi poco fertili ma ricchi di una mineralità che marchia i vini.

Le Cantine Rostagno e Le Masche

Raggiungiamo l’azienda agricola Rostagno dopo aver sfiorato il Parco di Villa Ogliani a Rivara. Siamo in una frazione a 500 metri di altitudine le cui colline impervie dal retrogusto alpino vanno coltivate con spirito “eroico” e soprattutto amorevole, tra gelate tardive e grandinate. La terra è di granito grossolano sbriciolato, diventato nel tempo un fondo sabbio-limoso fino a 80 cm di profondità. Le escursioni termiche giorno-notte sono notevoli, la ventilazione è mite e costante; la pioggia non manca e la fauna selvatica a volte è nefasta, come i cinghiali che a Giampaolo (titolare dell’attività) hanno distrutto il raccolto di un intero vigneto di Riesling e mezzo di Pinot Nero un anno fa, ingolositi - alla stregua dei caprioli - dalla bontà dell’uva. La radice della vite deve faticare tanto per proliferare in questi vigneti che si estendono fino a 600 metri di altitudine e quando lavora bene trasmette freschezza nel sorso dei vini, come ad esempio nel metodo classico Rostagno a base di Pinot Nero, vitigno che apprezza l’habitat pedemontano.

Il cambiamento climatico si manifesta anche qui ai piedi del Pesce Monte (Piedimonte), dove secondo un trattato del fornese Giacomo Vieta già nel 1.400 c’erano vigne. Gelo e neve si sono fatti più rari e qualcuno oggi pianta gli ulivi. Si racconta di tre o al massimo quattro modeste nevicate da quando nel 2019 la frazione Macchia è diventata casa di Giampaolo e sua moglie Daniela. Tra i vigneti eroici e storici registrati (l’elenco regionale è stato istituito nel 2023) appartenenti ai Rostagno da almeno quattro generazioni, l’esperienza che ci tocca è affascinante. Capi a frutto ad archetto, inerbimenti naturali curati a mano per difendere la terra dal dilavamento, chilometri di muretti a secco - alcuni preesistenti altri realizzati ex novo -, vigne riguadagnate dal bosco e piccoli appezzamenti recuperati e accorpati. Nell’insieme si intuiscono la biodiversità e la fatica della coltivazione.

Alla scoperta delle denominazioni del vino del Canavese

Cantina Rostagno

Passeggiamo tra viti di autoctono Chatus (Nebbiolo di Dronero o Brachet) nel dialetto locale, vitigno generoso e cagionevole, Nebbiolo e Barbera, intravedendo nella macchia un vigneto più unico che raro di Freisa a piede franco piantumato da un agricoltore immigrato da Chieri nel 1890, da cui oggi nascono 500 bottiglie l’anno del pregevole Neve Sotto le Stelle, un Freisa in purezza da vendemmia selezionata. Volgendo lo sguardo a valle nelle giornate limpide, da queste colline scoscese che nel passato remoto - prima del boom della metallurgia nell’800 - erano ancor più di oggi terrazzamenti e vigne, si vede Torino.

Giampaolo e suo padre nel 2004 decisero di dare un senso imprenditoriale alla propria viticoltura lavorando non solo le vigne di famiglia (una risale al suo quadrisavolo) ma anche quelle di tanti piccoli proprietari che le stavano abbandonando a un triste destino. Si partì realizzando terrazzamenti e piantando barbatelle di Nebbiolo come scommessa: oggi ragioniamo di tre ettari di vigneti quasi tutti di proprietà. Lorenzo Simone ha 32 anni e da venti lavora in vigna; ha studiato agraria e ha fatto un’approfondita opera di recupero e selezione dei cloni locali di Nebbiolo Lampia e Michet. Ci racconta dei cambiamenti climatici vissuti in prima persona assieme a sua madre, che ha sempre svolto l’attività agricola lavorando i terreni di proprietà: oggi l’azienda Le Masche conta dieci ettari di vigneti.

Alla scoperta delle denominazioni del vino del Canavese

Una pergola canavesana

Gli enormi sbalzi termici impongono trattamenti in vigna con caolino per evitare alle piante dannosi stress termici e idrici, mentre le piogge regolari si sono trasformate in bombe d’acqua improvvise di difficile gestione. Nella Cantina di Levone abbiamo conosciuto Bartolomeo Merlo, presidente del Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione dei vini Docg di Caluso e doc di Carema (37 soci) e della Cooperativa Produttori Erbaluce di Caluso (130 soci).

Dopo aver apprezzato le etichette di Metodo Classico di Le Masche (1474, doc Pinot Nero brut 36 mesi sui lieviti; Charme, doc Nebbiolo Rosé brut 24 mesi) e di Rostagno (31 Lune, 60% Pinot Nero e 40% Nebbiolo pas dosé, 30 mesi - cioè 31 lune - sui lieviti) abbiamo condiviso un agreste simposio abbinando i vini dei produttori canavesani presenti al pranzo agli assaggi di cucina locale preparati nei laboratori artigianali Boetto di Pont Canavese. Si è trattato delle Docg della Cantina Pozzo di Viverone (Bi) Erbaluce Reirì e Passito Riserva L’Arbat; il Riesling Rivet, il Girumeta Canavese doc Nebbiolo e il Neve Sotto le Stelle Canavese doc (Freisa) di Rostagno; i Docg Erbaluce Punto 75 e Baiarda della Cooperativa Produttori Erbaluce di Caluso; i Canavese doc Nebbiolo Roccia e Gaiarda di Le Masche. A proposito del Passito di Erbaluce, provate ad abbinarlo alle paste di meliga prodotte col mais Pignoletto Rosso, una varietà storica coltivata nel Canavese.

I produttori del Canavese

A cena nell’Antica Locanda dell’Orco di Rivarolo abbiamo incontrato alcuni titolari e responsabili delle Cantine del territorio, tra cui: Luca Leggero, Roberto Crosio, Gian Luigi Orsolani, Lia Falconieri (Cieck), Gian Marco Viano (Monte Maletto, Cantina di Carema), Vittorio Garda (Sorpasso, Cantina della Serra) e Francesco Lusiani (DonnaLia). Nel menu, i tajarin impastati all’Erbaluce, i torcetti canavesani e la deliziosa leggiadria dello zabajone della tradizione.

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Degustazione di pregio all'Antica Locanda dell'Orco

Questi i vini che hanno accompagnato il banchetto: MaDama (DonnaLia Met. Clas. brut Rosé Freisa-Nebbiolo), Serra Classic (Cantina della Serra Met. Clas. brut Erbaluce), Incanto (Crosio Met. Clas. Erbaluce), 1968 (Orsolani Met. Clas. brut magnum Erbaluce), Idi di Maggio (Orsolani Erbaluce), Rend Nen (Leggero Erbaluce), Sessanta (Cantina della Serra Erbaluce), Costaparadiso (Crosio Erbaluce), La Vila (Leggero Nebbiolo), Carema (Sorpasso), Sole e Roccia (Monte Maletto Carema), Caluso Passito (Produttori Erbaluce di Caluso) ed Eva d’Or (Crosio Caluso Passito).

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Zabajone della tradizione all'Antica Locanda dell'Orco

Tutti i convitati ci hanno trasmesso con orgoglio il forte senso di appartenenza al territorio e il grande rispetto per le tradizioni vitivinicole profondamente radicate. Partendo da queste basi, i produttori del Canavese guardano al futuro con spirito imprenditoriale e cooperativo.

L’azienda agricola Cieck

Spostandoci a San Giorgio Canavese attraversando l’Orco abbiamo raggiunto l’azienda Cieck fondata nel 1985 da Remo Falconieri col sogno di produrre uno spumante metodo classico di Erbaluce. A proposito di bollicine, ai tempi di Martinotti suo nonno faceva un rudimentale “vin sfursà” in una botticella chiusa. La gestione della Cantina è affidata principalmente a sua figlia Lia e all’enologo Tommaso Scapino ma l'ultranovantenne Remo non ha abbandonata l’indole creativa e recentemente ha brevettato una sorta di pergola semirovesciata per allevare le viti. L’azienda coltiva anche Nebbiolo, Barbera, Freisa e Neretto, un vitigno autoctono raro e difficile da lavorare che Cieck vinifica anche in purezza. Tra i vigneti di Erbaluce spicca Misobolo, piantato da Remo negli anni ’70: un cru che ospita una vite secolare a piede franco.

Alla scoperta delle denominazioni del vino del Canavese

I vini degustati al Ciek

L’ampia degustazione di Docg è iniziata con l’Erbaluce Metodo Classico, dapprima stappando una magnum del 2020 del primo spumante prodotto da Remo, il San Giorgio e a seguire il Nature 2019 pas dosé. In versione ferma, l’Erbaluce Vigna Misobolo 2022 con la sua fresca mineralità, il T 2021 (dieci mesi di tonneaux poco tostata e due anni di bottiglia) e l’XL 2018, solo 500 bottiglie per festeggiare quest’anno le 40 vendemmie di Cieck. L’Ingenuus (2021) è invece un Erbaluce fatto alla vecchia maniera, con fermentazione spontanea senza controllo della temperatura, maturazione in legno e nessuna chiarifica. Poi i rossi della doc Canavese: il Neretto Trecarli 2023 e il Nebbiolo Sust 2022. Degna conclusione coi Passiti di Erbaluce: l’Alladium (antico nome di Agliè), città del Canavese che ospitò la prima cantina di Cieck, del 2019 e la versione Riserva del 2007, a testimoniare la longevità di un vitigno portatore sano di acidità.

La Tenuta Roletto

Dalla campagna che avvolge Cieck a quella dei 60 ettari di vigneti di Cuceglio in cui è immersa la Tenuta Roletto il passo è brevissimo. Ad attenderci il titolare Antonino (Tonino) Iuculano e sua figlia Barbara, per raccontarci più di un secolo di storia dell'azienda e il presente in continua evoluzione, non ultimi i lavori di ampliamento della struttura che comprende un agriturismo e la passitaia in cui i grappoli di Erbaluce vengono appesi e ventilati naturalmente per 4-5 mesi. Nel 2024 si sono inaugurati i nuovi locali sotterranei per l’affinamento degli spumanti Erbaluce metodo classico. «In questa cantina controlliamo che ci sia sempre polvere sulle bottiglie, indice di assenza di umidità e quindi di batteri che potrebbero contaminare i vini chiusi solo col tappo a corona» ci ricorda Barbara

Alla scoperta delle denominazioni del vino del Canavese

Tenuta Roletto

Roletto è il cognome di Domenica, la moglie di Tonino, discendente del fondatore Giovanni Tinetti. Nel 2006, dopo tanti anni in cui le vecchie vigne di proprietà erano state gestite da altri viticoltori, i coniugi hanno ripreso in mano la situazione e vinificato la prima vendemmia utilizzando strutture altrui, non avendone ancora di proprie. La Tenuta Roletto è stata infatti inaugurata nel 2011, riportando agli antichi fasti il cognome di famiglia e inglobando la Cantina storica di cui si conserva il vecchio portone in legno che custodisce e tramanda una vastità di ricordi, compresi gli appunti scritti col gesso dal nonno di Barbara.

Oggi si coltivano Erbaluce (70%), Nebbiolo, Barbera, Bonarda, Sauvignon, Neretto, Pinot Noir, Freisa e Moscato. Per Tenuta Roletto il vestito migliore dell’Erbaluce è la bollicina e la sperimentazione dei Metodi Classici è giunta ai 120 mesi di giacenza sui lieviti. A dicembre vedrà la luce il primo Metodo Classico di Pinot Noir in purezza, 30 mesi sui lieviti. In una delle accoglienti sale del complesso di Cuceglio abbiamo incontrato a pranzo Marco Rossa, produttore di Borgomasino, località ai piedi di una collina prolungamento meridionale della Serra morenica di Ivrea. Rossa ha vigne anche dall’altra parte dell’Orco, sulle coste che declinano sotto il Mulino Val: in totale quattro ettari e mezzo tra collina e pianura coltivati a Erbaluce e Nebbiolo in parti uguali.

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Terrazzamenti e bosco nel Canavese

La storia di Marco è l’emblema della viticoltura canavesana: vecchie vigne di famiglia trascurate negli anni del boom economico del secolo scorso privilegiando il lavoro in fabbrica (si legga Olivetti) e poi recuperate. Viticoltore dal 2012, dal 2016 Rossa vinifica nella propria cantina l’Erbaluce in versione ferma, metodo classico e passito e il Nebbiolo, sia fermo che metodo classico rosé. In abbinamento coi gustosi antipasti e coi piatti principali abbiamo apprezzato queste etichette di Tenuta Roletto: i Metodi Classici Sessanta (Erbaluce) e Orangè (blend di rossi, Rosé), entrambi 60 mesi sui lieviti; gli Erbaluce fermi Muliné e Lei (quest’ultimo con criomacerazione e lungo affinamento in acciaio sui lieviti); l’Ermosa (blend di Sauvignon ed Erbaluce) e il Passito di Erbaluce Riserva 2013. Due le bottiglie di Marco Rossa degustate: Stevo, Erbaluce Metodo Classico pas dosé e e Lusenta, Erbaluce fermo.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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