Di recente è ricorso il ventesimo anniversario della morte di Luigi Veronelli: «Il vino trasferisce la sua anima a chi lo onora bevendolo» raccontava. Con il medesimo spirito ci siamo avvicinati all'evento che ha omaggiato il grande maestro dell'enogastronomia (e non solo) italiana, la terza edizione de “I grandi terroir del Barbaresco” organizzato ad Alba (Cn) dall'associazione Go Wine nelle sale dell'Hotel Calissano.

Il Barbaresco tra tradizione e innovazione: le Menzioni geografiche aggiuntive raccontate ad Alba
Nel contesto della Fiera internazionale del Tartufo bianco d'Alba, appassionati di vino e operatori del comparto hanno onorato e apprezzato il Barbaresco Docg ai banchi d'assaggio di una ventina di aziende vinicole, degustando il Barbaresco e il Barbaresco Riserva in tre masterclass. A fare gli onori di casa Massimo Corrado, avvocato albese fondatore e presidente di Go Wine, da trent'anni attivo sulla scena vinicola italiana ed europea. L'enologo Roberto Nantiat ha introdotto il tema della giornata parlandoci del vitigno Nebbiolo, del vino Barbaresco e dei produttori protagonisti della prima degustazione, menzionati in una Guida dei Vini di Veronelli già nel 1995.
Le storia del Barbaresco
L'uomo che cambiò le sorti dell'areale del Barbaresco - riconoscendo l'elegante peculiarità del vino e ufficializzandone il marchio - fu l'agronomo Domizio Cavazza, fondatore e primo direttore nel 1882 della Regia Scuola Enologica di Alba e della prima Cantina Sociale di Barbaresco nel 1894. In accordo coi viticoltori locali, ben presto vinificò dieci tonnellate di uva Nebbiolo per produrre bottiglie col nome Barbaresco stampato in etichetta (prima di allora qualche vignaiolo lo scriveva a mano), districandosi tra le diatribe territoriali coi produttori di Barolo.
Il “cugino ricco” era infatti preferito dalla Casa Reale e sponsorizzato da personaggi del calibro del conte Camillo Benso (proprietario di vigneti di Nebbiolo nella sua tenuta del Castello di Grinzane) e della marchesa Falletti Colbert. Venendo alla storia recente, è stato Angelo Gaja a dare un impulso determinante alla diffusione e al successo del Barbaresco, puntando sulla qualità e sul mercato degli Stati Uniti negli anni ‘70 del secolo scorso.
I cloni Michet e Lampia
Le due sottovarietà principali del Nebbiolo sono il Lampia e il Michet, quest'ultimo presente in stragrande maggioranza nella zona di Barbaresco (Cn) e dintorni. Il Michet è il risultato di una virosi della vite che causò la riduzione della quantità di uva prodotta e della dimensione di grappoli e acini. Una iattura per i contadini, in un'epoca in cui l'uva era venduta in base al peso, mentre la qualità (migliorata) non contava. L'uva Nebbiolo ha maturazione tardiva e ciò incide sulle tempistiche delle vendemmie. Per il Barbaresco, le macerazioni sulle bucce tradizionalmente durano dai 12 ai 25 giorni e l'affinamento minimo da disciplinare è di 26 mesi (50 per il Riserva) di cui almeno 9 in legno. Il territorio del Barbaresco si è formato a livello geologico nell'era tortoniana con marne (rocce sedimentarie) prevalentemente tipiche che diventano più sabbiose (arenarie) nella zona bassa di Treiso (Cn). La compattezza o meno del terreno incide sulla possibilità delle radici di attecchire in profondità e sulla capacità del sottosuolo di trattenere l'acqua piovana.
La degustazione di sei etichette di Barbaresco
Prima di addentrarci nelle tipicità delle Mga (Menzioni geografiche aggiuntive), abbiamo inizialmente assaggiato il Barbaresco Bera 2021 nella versione generica, cioè con uve provenienti da diversi vigneti e terreni. L'azienda produttricee si trova a Neviglie (Cn) e il titolare Valter Bera, presente in sala, ci ha presentato il proprio vino giudicando buona l'annata ‘21. 12-15 giorni di macerazione e poi fermentazione malolattica svolta in acciaio prima della maturazione in botti di 25-30 hl e un po' di barrique non di primo passaggio.
Il produttore 69enne ha ricordato i tempi passati e le esperienze condivise con Veronelli, quando in Langa si faceva fatica ad avere abbastanza alcol nei vini. Ora che il clima e le mode sono cambiati, si deve procedere in direzione opposta per avere un prodotto poco alcolico o addirittura dealcolato. Circa il tappo a vite, Bera ha confermato la bontà del pensiero che si sta facendo strada e il giudizio positivo sul suo utilizzo per molteplici ragioni. Il suo Barbaresco - con affinamento in bottiglia incompleto e quindi non ancora sul mercato - ha mostrato la propria giovinezza al palato e un buon potenziale, con ampio ventaglio di profumi dal torbato al floreale e note di spezie.

Alla scoperta delle Mga di Barbaresco ad Alba: storia e degustazione dei grandi terroir
La prima Mga degustata è stata il Roncaglie 2021 dei Poderi Colla, una degli storici cru al confine tra i comuni di Barbaresco e Treiso. Vinosità marcata con dolcezza piccante, consistenza alcolica e interessante mineralità. I viticoltori Colla furono precursori e indicarono in etichetta il nome Barbaresco prima dell'avvento di Cavazza, così come furono all'avanguardia con i diradamenti. La seconda Mga e il terzo assaggio è stato quello del Pajorè 2021 di Piazzo Comm. Armando, da un cru di Treiso geograficamente poco distante dal Roncaglie ma piuttosto distante alla degustazione. Barbaresco denso e opaco, naso floreale e alcolico; in bocca, finale di balsamo e ribes.
L'ultimo 2021 sorseggiato è stato il Rabajà di Giuseppe Cortese, da una delle Mga più vocate per il Barbaresco. Un territorio molto ampio e molto ambito, poi scorporato perché non tutti i suoli ne rappresentavano lo stile originario; poco più a nord del Rabajà storico, infatti, troviamo il cru Rabajà Bas. Dopo un accenno vegetale, il profumo è virato sul frutto maturo con liquirizia, spezie e un lungo finale in bocca. Quinto vino, il Montersino 2020 di Taliano Michele dalla grande Mga suddivisa tra i comuni di Treiso e Alba. La fermentazione malolattica in legno ha evidenziato caratteristiche diverse dai precedenti Barbareschi. Difficile il confronto cogli omologhi, anche considerando le differenti annate. L'ultimo Barbaresco è stato quello proveniente dalla nota Mga di Neive Basarin, con l'annata 2020 di Marco e Vittorio Adriano. Un vino dai profumi torbati e floreali, molto interessante in bocca anche in virtù di un anno in più di evoluzione rispetto ai primi 2021 degustati.