Per anni è stato l'alternativa “sana” alla carne rossa. Ma anche il pollo finisce ora sotto i riflettori della ricerca scientifica. Un nuovo studio italiano, pubblicato sulla rivista Nutrients, mette infatti in discussione l'immagine rassicurante della carne avicola, rivelando un legame tra il suo consumo regolare e un aumento del rischio di morte e di alcuni tipi di tumori, in particolare a carico dell'apparato digerente.

Il pollo fa male? Cosa rivela un nuovo studio italiano su salute e tumori
Lo studio italiano sul pollo che accende l'allarme
La ricerca è stata condotta da un gruppo di studiosi dell'Istituto nazionale di gastroenterologia “Saverio de Bellis” di Castellana Grotte, in Puglia. Il team - composto da Caterina Bonfiglio, Rossella Tatoli, Rossella Donghia, Pasqua Letizia Pesole e Gianluigi Giannelli - ha monitorato per 19 anni le abitudini alimentari e lo stato di salute di 4.869 adulti di mezza età.

I dati emersi sono significativi: chi consumava oltre 300 grammi di carne avicola a settimana aveva un tasso di mortalità del 27% più alto rispetto a chi ne consumava meno di 100 grammi. Tra gli uomini, l'aumento arriva addirittura al 61%. Un divario che potrebbe essere legato alle quantità di cibo ingerite, tendenzialmente maggiori nel sesso maschile.
Cosa rende il pollo potenzialmente dannoso secondo i ricercatori
Lo studio è osservazionale, quindi non stabilisce un nesso di causalità diretto. Ma i ricercatori avanzano alcune ipotesi: una riguarda le sostanze chimiche che si formano quando il pollo viene cotto ad alte temperature, come nel caso delle grigliate o delle fritture. Questi composti, come le ammine eterocicliche e gli idrocarburi policiclici aromatici, sono noti per i loro effetti cancerogeni.

I fattori dietro l’aumento del rischio: cottura, allevamenti, alimentazione
Un'altra possibile causa è legata alla qualità della carne: residui di mangimi, ormoni o farmaci usati negli allevamenti intensivi potrebbero avere effetti nocivi sull'organismo umano. L'incremento del rischio oncologico osservato riguarda undici diversi tumori dell'apparato gastrointestinale: dallo stomaco al fegato, passando per pancreas, cistifellea, intestino e persino i tessuti molli dell'addome.
«Si tratta di uno studio di coorte, volto a fotografare le abitudini alimentari della popolazione in due comuni pugliesi, Castellana Grotte e Putignano» spiega la dottoressa Rossella Donghia, tra le autrici della ricerca. «Per indagare le cause vere e proprie sarebbe necessario un trial clinico controllato, che al momento non è previsto, ma che potrebbe rappresentare un futuro passo avanti». Le linee guida italiane, ricordiamo, suggeriscono una porzione standard da 100 g e ne raccomandano il consumo da una a tre volte a settimana. Ma alla luce delle nuove evidenze, forse è giunto il momento di interrogarsi non solo sulla quantità, ma anche sulla qualità della carne che portiamo in tavola.