Chi conosce la storia del Don Alfonso 1890 sa che la parola “sostenibilità” qui non è una moda, ma un impegno inciso nel Dna di famiglia. Alfonso e Livia Iaccarino la praticano da oltre trentacinque anni, quando quasi nessuno nel fine dining parlava di agricoltura biologica. La loro azienda agricola Le Peracciole, fondata nel 1990 sui terreni bonificati di Punta Campanella (la parte terminale della penisola Sorrentina, con vista su Capri), è un laboratorio di biodiversità: orti, agrumi, olivi, grani, galline e conserve nati da un principio chiaro: coltivare in modo naturale per nutrire con consapevolezza. Un'esperienza che negli anni ne ha fatto portale che promuovere e tutelare produzioni di qualità che rischiavano di essere perse e che ora è il partner per valorizzare patate, tartufo nero e segale del Matese, l'area montuosa ambientalmente intatta in provincia di Isernia, grazie da un progetto del Pnrr M1C3 Intervento 2.1.

I ristoratori del Matese in cucina da Don Alfonso
Grazie anche al rifacimento integrale della sede di Sant’Agata sui Due Golfi (Na), la stessa struttura del ristorante riflette la visione di una sostenibilità autentica: gestione circolare delle acque, zero emissioni, zero rifiuti, controllo delle temperature e dell’aria interna. Un modello concreto di “ospitalità rigenerativa”, certificato nei fatti, non nei proclami. Una filosofia che ha valso al ristorante anche la Stella Verde Michelin, ma soprattutto il riconoscimento del settore come modello pionieristico di ristorazione etica e consapevole. E proprio per questo, la scelta di coinvolgere Don Alfonso come partner del progetto “A tavola nel borgo - Matese” è tutt’altro che simbolica o pubblicitaria: la famiglia Iaccarino è il miglior testimonial possibile di un approccio che unisce etica, gusto e sviluppo locale.

Raccolta giornaliera dell'azienda agricola di don Alfonsio
I prodotti del Matese: da rischio di estinzione a risorsa di comunità
Il tartufo nero del Matese, la patata del Matese e la segale del Matese (tutelati da presidi Slow food che a breve potrebbero allargarsi anche al miele) rappresentano nella sostanza tre identità gastronomiche quasi dimenticate. Prodotti che rischiavano di sparire, spazzati via dalla logica dei grandi mercati e dalle coltivazioni intensive e affidate a sole produzioni per autoconsumo o per il mercato locale. Ora tornano invece al centro di un meccanismo virtuoso che tutela il territorio e genera valore economico, grazie alla sinergia fra ricerca universitaria, enti locali e il mondo della ristorazione di qualità.
Don Alfonso 1890, dettaglio della sala
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Don Alfonso 1890, la sala
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Don Alfonso 1890, ingresso
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Nel progetto, finanziato dal PNRR e sostenuto da quattro università campane (Federico II di Napoli, della Campania Luigi Vanvitelli, di Salerno e del Sannio), il Don Alfonso 1890 si è trasformato in hub formativo: la sua scuola di cucina ha accolto workshop, laboratori e cene didattiche per insegnare a cuochi, pizzaioli e operatori turistici del Matese come valorizzare e raccontare le proprie materie prime. Sotto la guida di Ernesto e Mario Iaccarino, i partecipanti hanno imparato tecniche replicabili, ma soprattutto un metodo: leggere il prodotto come patrimonio culturale, non solo come ingrediente.
Una scuola pratica per utilizzare al meglio al ristorante i prodotti agricoli
«La sopravvivenza delle produzioni tipiche - spiega Mario Iaccarino - dipende dalla capacità di proteggerle e di farle conoscere. Solo mantenendo viva questa connessione possiamo offrire esperienze autentiche e sostenere i territori che le generano».
Nella scuola di cucina della famiglia Iaccarino si sono svolti workshop, incontri e due cene esperienziali guidate dallo chef Ernesto Iaccarino, dal suo secondo Nicola Pignatelli e dal team del ristorante. Un’esperienza che ha coinvolto direttamenteuna decina di operatori del Matese - cuochi, pizzaioli, ristoratori, albergatori - in un percorso di apprendimento e condivisione sul campo. Indossando il grembiule e mettendo letteralmente le mani in pasta, i partecipanti hanno scoperto come trasformare la materia prima in cultura gastronomica. Ne sono nate alcune ricette sviluppate dal team di Don Alfonso come esempio pratico di una sorta di start up gastronomica per una salto di qualità nell'offerta dei locali del territorio del Matese.

Gli operatori del Matese con il team del Don Alfonso 1890
Le ricette ideate durante i workshop del Don Alfonso 1890 - dagli Scialatielli di segale del Matese con broccoli e colatura di alici al Filetto di manzo in crosta di pane alla segale, fino alla Patata del Matese farcita con ostriche e lenticchie o ai Cappelli di pasta ripieni di pollo alla genovese e tartufo nero - non sono solo piatti, ma strumenti di narrazione del paesaggio. Dietro ogni preparazione c’è l’idea che la cucina possa essere un veicolo di conoscenza e di rinascita territoriale.
Uovo in tegamino con tartufo nero del Matese
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Patata del Matese farcita con ostriche su lenticchie e gamberetti
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Scialatielli di segale del Matese con broccoli, vongole e colatura
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Sfere di gnocchi di patate del Matese ripiene di melanzane e provola
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Filetto di manzo in crosta di pane alla farina di segale del Matese
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Sfogliatella con farina di segale del Matese
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«Imparare a trattare una patata di Letino o una farina di segale del Matese - spiega Ernesto Iaccarino - non è solo cucina, è un atto di tutela. È prendersi cura di un futuro più buono, più giusto e più consapevole».

Ernesto Iaccarino
A completare l’esperienza, due cene degustazione negli spazi del ristorante stellato hanno trasformato la didattica in convivialità: attorno alla tavola si sono intrecciate storie di pascoli, altopiani e sottoboschi, di mani che coltivano e di mani che cucinano, in un dialogo diretto tra mondo accademico, produttori e operatori dell’ospitalità.
Un percorso di turismo enogastronomico nel cuore del Parco del Matese
Da questa esperienza nasce un modello replicabile di turismo enogastronomico territoriale: il Matese può diventare meta di chi cerca autenticità, biodiversità e cucina vera. Le tre produzioni simbolo - tartufo, patata e segale - diventano gli obiettivi di di un percorso che lega i borghi di Castello del Matese e Letino alle aree agricole e naturali circostanti, unendo agricoltura, ospitalità e cultura gastronomica. Il che, considerando i richiami naturalistici e storici del Matese, diventa un volano incredibile in linea con gli attuali trend turistici che privilegiano aree fuori dai circuiti tradizionali.

Livia Iaccarino
Come insegnano gli Iaccarino, «cucinare non è solo nutrire, ma custodire un paesaggio». È in questo spirito che gli operatori del Matese sono stati formati: per diventare ambasciatori di un territorio che, partendo dai suoi sapori, può costruire un nuovo modo di fare accoglienza. Non più un turismo di passaggio, ma un viaggio nella sostenibilità.
La rinascita del Matese, in fondo, parte da un’idea antica e rivoluzionaria insieme: valorizzare ciò che già esiste, farne cultura, e raccontarlo con onestà.
I tre tesori del Matese
Il tartufo nero del Matese
Nel cuore del Parco Nazionale tra Campania e Molise cresce uno dei tartufi più pregiati del Sud Italia, riconosciuto come Prodotto agroalimentare tradizionale della Campania. Si sviluppa in simbiosi con querce e carpini tra i 700 e i 1.200 metri, restituendo profumi eleganti e persistenti. È un tartufo di aromaticità fine, con note che virano dal fungino al nocciolato e un’ottima resa in cucina. Storicamente raccolto dalle comunità locali come risorsa naturale, oggi è il simbolo di una vocazione micologica da proteggere: la sua valorizzazione può alimentare un turismo esperienziale legato a escursioni, degustazioni e didattica ambientale.

Il tartufo del matese
La patata del Matese
Frutto delle coltivazioni d’altura di Castello del Matese e Letino, la patata del Matese nasce in terreni poveri ma puliti, irrigati da acque di sorgente e senza trattamenti intensivi. La bassa resa per ettaro è compensata da un’alta sostanza secca e grande tenuta alla cottura, qualità che la rendono perfetta per gnocchi, gratin, purè e cotture al forno. Il suo gusto “di montagna” è rotondo e persistente, con un retrogusto leggermente dolce. Recuperarla significa restituire dignità all’agricoltura d’altura e creare una filiera capace di sostenere piccoli produttori e nuove forme di ospitalità rurale.
La segale del Matese
Chiamata in dialetto sècena, è un cereale rustico e tenace che per secoli ha garantito il pane alle comunità delle valli alte. Già Presidio Slow Food, la segale del Matese rappresenta un modello di resilienza agricola: resiste al freddo, cresce su terreni marginali e preserva la fertilità del suolo. Dal punto di vista gastronomico offre farine profumate, ideali per pani e paste dal sapore deciso. Il suo recupero apre scenari concreti di panificazione territoriale, produzione artigianale e didattica agricola, inserendosi nei percorsi di turismo lento e naturalistico che attraversano il Parco.
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