Il ristorante Terraforte, all'interno della tenuta del Castello del Terriccio a Castellina Marittima (Pi), ha da poco conquistato un posto nella Guida Michelin (in attesa di scoprire se arriverà anche la stella) e ha lanciato un nuovo menu che racconta, ancora una volta, la terra che lo ospita, tra orti, vigne e boschi con vista mare. Alla guida della brigata, insieme al resident chef Giulio Bandini, c'è Cristiano Tomei, executive chef che a Terraforte ha portato la sua visione concreta e vibrante di cucina, quella che pratica da sempre, dove le stagioni non sono slogan ma materia viva con cui confrontarsi ogni giorno.

La sala del ristorante Terraforte a Castellina Marittima (Pi)
Nato a Viareggio nel 1974, ricordiamo, Tomei ha iniziato a cucinare da ragazzo con la madre, a girare ristoranti con il padre e a imparare le basi da Peppino Cantarelli, uno dei suoi riferimenti. Dopo l'Istituto Nautico e alcuni anni di viaggi, nel 2002 apre a 27 anni L'Imbuto, che si sposta nel tempo prima a Viareggio e poi a Lucca, dove nel 2014 conquista la stella Michelin. Negli anni ha curato corsi per In Cibum e diverse esperienze televisive (La prova del cuoco, Masterchef Magazine, I re della griglia, Cuochi d'Italia), affermandosi come voce autentica della cucina italiana.
L'intervista a Cristiano Tomei, executive chef del ristorante Terraforte
Lo abbiamo intervistato per parlare di cucina consapevole, formazione, territorialità e futuro del fine dining.
Chef, possiamo definire “stagionale” la cucina di Terraforte, visto che cambiate menu ogni due mesi? O è riduttivo?
Sì, chiamarla “stagionale” è riduttivo. Preferisco dire che la cucina deve essere consapevole, consapevole di quello che ti offre chi comanda, cioè la natura. Stop. È la natura che detta le regole e il menu è in movimento costante. Per esempio, le zucchine di maggio non sono le stesse di luglio, e questo vale per tutto. È questo che struttura la cucina contemporanea: le esigenze dei cuochi non esistono, esistono quelle della natura. Noi cuochi non inventiamo nulla, il cibo è un linguaggio e i piatti nascono dall'incontro tra le esperienze di vita e quello che la natura ci offre.

Giulio Bandini e Cristiano Tomei
Come nasce concretamente un menu a Terraforte? Lo costruite insieme a Giulio e Riccardo (Simonelli, restaurant manager)?
Non è un menu che pianifichiamo a tavolino mesi prima. A guidarci è quello che accade intorno: se fa caldo, non mettiamo in carta piatti pesanti, gli stracotti, se arriva un prodotto straordinario, nasce un piatto che prima non avevamo previsto. È un confronto continuo con quello che ci offre la natura, e da lì partiamo per costruire un'interpretazione. Con Giulio condivido ogni scelta e lascio spazio alla sua visione, perché è giusto così, e con Riccardo c'è un confronto costante. La mia filosofia è chiara: partire dalla materia che abbiamo davanti e lavorarla con rispetto e consapevolezza.
Tomei: «Conoscere le tecniche è fondamentale, ma saperle smentire lo è ancora di più»
Ma dietro c'è comunque una grande conoscenza della materia e delle tecniche...
Ovviamente, la conoscenza è la base di tutto. Oggi conoscere le tecniche è fondamentale, ma saperle smentire lo è ancora di più: a volte un grasso pulisce un altro grasso, ad esempio. Quello che trasmetto a Giulio e a chi lavora con me è l'approccio: il cibo è un linguaggio, non un'invenzione, e i piatti funzionano quando hanno un legame con la memoria. Quando sento parlare di creatività rido, perché per me non è un'esigenza creativa, ma fisica, pensare e fare cose nuove. Per esempio, con i primi pomodori profumatissimi abbiamo creato un piatto che è solo pomodoro. Sono queste le cose che ti stimolano, è la natura che ti spinge. Io devo stare nel campo, al mercato, a vedere il pesce. E il Terriccio, in questo senso, è uno stimolo continuo: le erbe selvatiche, le vigne, il mare che si vede all'orizzonte. Questo è il mio modo di lavorare.

Per Tomei i piatti funzionano quando hanno un legame con la memoria
Facciamo però un passo indietro: per chiarire, perché è riduttivo definire “sostenibile” la sua cucina?
Perché la sostenibilità, ormai, è diventata una parola comoda da usare. La cucina deve essere sostenibile sempre, altrimenti non è cucina, ma un'altra cosa, un'industria alimentare. Quello che conta davvero è la consapevolezza: sapere che nel mare non ci sono solo due pesci, ma una varietà enorme, e che bisogna scegliere davvero quello che c'è, senza raccontarsela, ma facendo sul serio. Oggi le parole non bastano più, bisogna passare ai fatti. È questo che per me è fondamentale, sempre.
Tomei: «La cucina deve essere conforto e seguire la natura»
Può, quindi, essere questa consapevolezza un punto di partenza per rinnovare la cucina italiana, soprattutto nel fine dining?
Bisogna crederci ogni giorno, spingere ancora di più in quello che si è costruito. La rivoluzione non passa per il nuovo fine a sé stesso, ma per il nuovo che rimpiazza, che nasce dalla necessità e diventa virtù. La cucina italiana è figlia della necessità: le grandi cucine popolari sono nate così. La riflessione oggi deve essere questa: usare profondamente la materia prima, ma farlo con intelligenza. Non ha senso dire “non butto nulla” e poi tenere l'essiccatore acceso una settimana. Per esempio, ho fatto una sfoglia di concentrato di pomodoro seccata al sole in due ore. Questa è la strada per ottenere risultati veri, altrimenti restiamo a parlare e non risolviamo nulla. Oggi siamo in mezzo a crisi economiche, guerre, difficoltà globali. La cucina, come quella di Terraforte, deve essere conforto, un gioco, anche una risata. Non deve inseguire la perfezione, deve seguire la natura. E la natura è perfetta.

Lo chef Cristiano Tomei
Quindi ripartire dal territorio…
Parlerei più di territorialità che di territorio. La territorialità è fatta delle esperienze che attraversano quel luogo e lasciano un'eredità. Questa è la forza della cucina italiana: una cucina di contaminazioni continue, che resta viva perché accoglie e rielabora.

Un appello ai colleghi su questi temi?
Non sono nessuno per dare consigli, ma dico che ora è il momento di agire, di fare le cose e farle bene. I momenti difficili possono diventare opportunità. Un ristorante deve ristorare: significa far mangiare bene ma anche mettere le persone a loro agio. Bisogna capire chi si ha davanti, chi vuole sapere tutto e chi vuole solo rilassarsi. Anche il nostro linguaggio, come ristoratori, va ripensato.
Tomei: «La formazione non è solo teoria o scuola: è stare in cucina»
In questo senso, quanto conta la formazione, oggi?
Conta tutto. Si chiama cultura, ed è quello che dobbiamo trasmettere. Noi italiani siamo l'unico popolo che parla di cibo mentre mangia. Per noi è un momento di scambio, non solo nutrimento. Bisogna insegnare queste cose con il linguaggio dei ragazzi, non con discorsi pesanti e vuoti. I giovani vogliono sapere, ma bisogna parlar loro nel modo giusto. E la formazione non è solo teoria o scuola: è stare in cucina, capire com'è davvero il lavoro. Perché se mandi un ragazzo a fare lo stage in un grande ristorante con venti persone in cucina, a pulire con le pinzette in mano, poi cosa succede? Succede che quando esce da lì scopre che la realtà è un'altra, che la maggior parte delle cucine non funziona così. E se non lo prepari a questo, rischi di perderlo, anche se ha entusiasmo e voglia di fare. Bisogna fargli vedere tutte le strade che questo mestiere offre, altrimenti quando arriva il momento di mettersi in gioco davvero, se ne vanno.
Via Bagnoli 16 56040 Castellina Marittima (Pi)
Mer-Dom 12:30-14:30, 19:30-22:00