La settimana scorsa ha riacceso il dibattito - non nuovo, ma mai davvero risolto - il cartello comparso all'ingresso dell'Osteria del Sole, storico locale nel cuore di Bologna. “Sconsigliato l'ingresso ai minori di 18 anni”: un messaggio chiaro, seppur non realmente vincolante, che ha diviso l'opinione pubblica tra chi l'ha letto come una provocazione, chi come un invito al buonsenso e chi, invece, lo ha considerato un gesto di esclusione nei confronti delle famiglie.
Il titolare, Nicola Spolaore (leggi qui l'intervista a Italia a Tavola), ha voluto subito chiarire il senso dell'iniziativa: nessun divieto, piuttosto un appello al rispetto degli altri e dell'atmosfera di un luogo che esiste da oltre cinquecento anni. «Qui lo spazio è poco - ha spiegato - è un'osteria del Quattrocento, dove si viene a bere un bicchiere di vino e a fare due chiacchiere. Se un bambino urla, scorrazza o ascolta un tablet ad alto volume, cambia completamente l'atmosfera».

Nicola Spolaore con il cartello fuori dall'Osteria del Sole
Nel giro di poche ore, la notizia ha superato i confini locali, rilanciata dai media e amplificata sui social. Ma al di là delle reazioni a caldo, spesso polarizzate, la questione ha trovato eco anche tra chi la ristorazione la vive quotidianamente, tra sale piene, clienti abituali e piccoli grandi problemi di convivenza. Per approfondire il tema, abbiamo raccolto il punto di vista di sei nomi autorevoli del comparto - uno chef pluristellato, un ristoratore di lunga esperienza e quattro critici gastronomici - che, partendo da percorsi e sensibilità diverse, hanno offerto riflessioni vicine.
Igles Corelli: «No al cartello, sì come ideologia»
Il primo a intervenire è Igles Corelli, chef pluristellato e volto storico di Gambero Rosso Channel, da sempre attento alla questione dell'educazione a tavola. La sua posizione è chiara: «No al cartello, sì come ideologia. Esistono posti dove i bambini non sono ammessi, come succede per gli animali, ed è giusto che i genitori si pongano il problema. Se uno sa che non riesce a controllare il proprio figlio è meglio che stia a casa. Ma dovrebbe saperlo da solo». Anche lui, come Spolaore, ha assistito a episodi sopra le righe: «Mi è capitato di vedere un cliente cambiare un pannolino sul tavolo. È successo a me e capisco che non sia il massimo. Ci sono locali dove i bambini possono andare e altri dove forse è meglio di no».

Lo chef pluristellato Igles Corelli
Per Corelli il punto non è escludere, ma riconoscere la natura del luogo. «Se vai in un posto soft, storico, dove si degusta vino e si chiacchiera in tranquillità, non è il massimo avere bambini che urlano. È una sua prerogativa, bisogna rispettarla. Io stesso nella ristorazione stellata non li vedo bene, mentre nella ristorazione più semplice sì, possono starci». Lo dice anche per esperienza personale: «Una volta ero in un albergo cinque stelle lusso in Asia, con i miei figli. Lì i bambini non erano ammessi. Li hanno fatti entrare solo perché eravamo lì per lavoro, ma li ho tenuti al guinzaglio. Avevano otto anni. Dopo quella vacanza mi hanno detto: "Papà, se dobbiamo andare in vacanza con te per non poter fare quello che vogliamo, no grazie". Anche loro si sono sentiti fuori posto. È importante andare dove i bambini sono i benvenuti anche negli spazi e nel menu».
Domenico Virgilio: «Oggi c'è molto meno rispetto, sia per i clienti che per noi»
Diverso, ma complementare, il punto di vista di Domenico Virgilio, chef della storica Trattoria La Barca di Rho, in provincia di Milano. Per lui i bambini fanno parte della famiglia e vanno accolti, ma sempre nel rispetto degli altri e del contesto: «Dipende tutto dall'educazione dei genitori. Noi non abbiamo mai "vietato" l'ingresso ai bambini, in 57 anni di attività non lo abbiamo mai nemmeno pensato. Certo, è capitato anche a noi che corressero tra i tavoli, soprattutto durante cerimonie con tanti bambini. Li richiami una, due volte, ma il problema è che possono farsi male: noi usciamo dalla cucina con piatti bollenti. Se ne prendiamo dentro uno, si fa male davvero».

Domenico Virgilio della storica Trattoria La Barca di Rho
Anche per Virgilio, però, non si può ignorare che spesso manca il buonsenso: «Oggi c'è molto meno rispetto, sia per gli altri clienti che per il nostro lavoro. È un problema che riguarda tutti, ma soprattutto i genitori. Alcuni danno l'iPad al bambino e lo tengono così per un'ora e mezza. Io non sono favorevole, ma se per loro funziona, va bene. L'importante è che non diventi un problema per gli altri». E aggiunge, in merito alla distinzione tra italiani e stranieri: «Le famiglie straniere di solito sono più attente. Gli italiani... dipende. Ma alla fine è sempre una questione di educazione e rispetto, non di nazionalità».
Edoardo Raspelli: «Stiamo perdendo l'educazione (anche al ristorante)»
Abbiamo poi chiesto un'opinione anche a Edoardo Raspelli, storico critico gastronomico e grande osservatore del comportamento a tavola. La sua riflessione parte dalla propria esperienza: «I miei figli li portavo anche in trattoria. Quando si stancavano, gli davo un gioco e si mettevano sotto il tavolo. Io e mia moglie eravamo genitori educati, sapevamo che i bambini non devono "rompere" al ristorante». Raspelli riconosce che l'idea del cartello può risultare spiacevole, ma aggiunge: «È la testimonianza della maleducazione che c'è dappertutto. Mi sembra di essere nato tre secoli fa. C'è una buona educazione d'immagine e una di comportamento: oggi manca la seconda».

Il critico enogastronomico Edoardo Raspelli
Per lui, dunque, è un problema più ampio, che va ben oltre l'osteria bolognese. «Il ristoratore che mette un cartello è disperato. Ma basta guardare cosa succede in giro: in macchina, nei parcheggi, nei bar. È tutto un degenerare. L'educazione, anche al ristorante, è un pezzo di quel che stiamo perdendo. E poi, certo, il ristoratore deve essere al servizio del cliente. Ma anche il cliente dovrebbe ricordarsi di essere una persona tra altre persone».
Carlo Cambi: «Quel cartello non è affisso per i bambini»
Anche Carlo Cambi, giornalista e critico gastronomico, non ha avuto dubbi nel contestualizzare il cartello dell'Osteria del Sole. Secondo lui, infatti, bisogna tenere conto della natura del luogo: «Per l'Osteria del Sole, i ragionamenti vanno fatti con un'ottica completamente diversa. Non è un'osteria normale: è un posto dove si beve, ti porti da mangiare, scegli il vino. Ha una tradizione antichissima ed è chiaramente un luogo deputato agli adulti. Non ha mai ceduto alle mode e questo fa parte della sua identità».

Carlo Cambi, giornalista e critico gastronomico
Più che una provocazione, Cambi ci vede un gesto di coerenza culturale: «Quel cartello non è affisso per i bambini, ma come condanna dei genitori che non svolgono la loro funzione educativa. È un richiamo, una bacchettata sulle mani rivolta agli adulti». Per lui, educare i bambini a stare seduti a tavola, come gli adulti, è fondamentale. E aggiunge: «Chi storce il naso di fronte a questo messaggio, spesso è lo stesso che dà ai figli Coca Cola o Fanta mentre mangiano. Questo è il più alto esempio di diseducazione, sia alimentare che comportamentale».
Cambi, da sempre attento anche alle regole del galateo, ribadisce che andare al ristorante significa partecipare a un momento di convivialità che non dovrebbe essere disturbato da comportamenti fuori luogo: «È come per la musica nei locali. Se accompagna, va bene. Se copre le conversazioni, rovina l'atmosfera. E i bambini che strillano o si arrampicano sulle sedie sono, allo stesso modo, una distorsione. È giusto che chi gestisce un locale pubblico si assuma anche l'onere - magari antipatico - di richiamare all'ordine».
Marco Colognese: «È comprensibile che il gestore abbia deciso di agire»
Più cauto, ma non meno lucido, Marco Colognese, critico e collaboratore di Italia a Tavola, sottolinea come il tema sia difficile da incasellare in una posizione netta. «Io sono padre, mio figlio ha 27 anni, e credo che sia un problema legato soprattutto all'educazione dei genitori. Ho visto scene intollerabili, ma anche bambini assolutamente tranquilli. Il punto è che ogni contesto è diverso. Non parliamo di fine dining, ma di un'osteria con spazi ristretti. È comprensibile che il gestore, dopo tante situazioni difficili, abbia deciso di agire».

Marco Colognese, critico e collaboratore di Italia a Tavola
Colognese, però, non rinuncia a una posizione di apertura: «Io i bambini li ammetterei sempre. Semmai caccerei i genitori quando fanno davvero casino. Un ristorante può dare delle indicazioni, ma non dettare legge. È giusto, però, che chi ha un figlio particolarmente vivace scelga un locale adatto. La verità è che spesso i genitori italiani tendono a "mollare" i figli. Gli stranieri, invece, li gestiscono meglio». Alla fine, secondo lui, «dipende tutto dal modello di locale: se è popolare, è giusto essere più inclusivi. Ma man mano che sali di fascia, le esigenze cambiano. È difficile immaginare un bambino che corre tra i tavoli all'Osteria Francescana».
Andrea Grignaffini: «Il ristorante dovrebbe restare un luogo dove si sta bene»
Chiudiamo con le parole di Andrea Grignaffini, per anni curatore della Guida ai vini e vice-curatore della Guida ai ristoranti del Gruppo Espresso. Anche lui, come gli altri, distingue tra bambini e genitori, e sposta il tema sul terreno dell'educazione collettiva. «I richiami all'ordine sono utili, che si tratti di bambini, cani o adulti. Spesso i veri problemi nei ristoranti nascono dai tavoli poco educati. Sono contro i divieti, ma credo che ci siano situazioni in cui è giusto intervenire. Molti genitori non riescono più a seguire i figli: c'è un po' di "beneficienza educativa" che andrebbe superata».

Andrea Grignaffini, per anni curatore della Guida ai vini e vice-curatore della Guida ai ristoranti del Gruppo Espresso
Per Grignaffini, serve una cultura del rispetto, non solo a tavola: «Io metterei un cartello con scritto: in questo locale bisogna essere educati. Il problema non sono i bambini, è il caos. Un cane che abbaia viene subito zittito. Una tavolata di adulti che urla per tutta la cena, invece, nessuno la richiama. Allora sì, il cartello ha senso, e io lo condivido. Non per essere politicamente corretto, ma perché il ristorante dovrebbe restare un luogo dove si sta bene insieme. Senza dover alzare la voce».
Bambini al ristorante, la guida di Italia a Tavola
A emergere, quindi, è un'esigenza trasversale: trovare un equilibrio tra accoglienza e convivenza, tra libertà individuale e rispetto per gli altri. Non a caso, già tempo fa Italia a Tavola aveva dedicato una guida al tema, in collaborazione Valerio Beltrami, presidente dell'Associazione maitre italiani ristoranti e alberghi (Amira), per aiutare genitori, ristoratori e personale di sala a convivere meglio. Perché sì, i bambini al ristorante ci possono stare, eccome. Ma con alcune accortezze.

Valerio Beltrami, presidente dell'Associazione maitre italiani ristoranti e alberghi (Amira)
La prima regola è semplice: non si può vietare per principio l'ingresso ai minori. La legge lo dice chiaramente. Ma questo non vuol dire che tutto sia concesso. Correre tra i tavoli, urlare, ascoltare cartoni animati a tutto volume: non è questione di età, è questione di rispetto. E in questi casi, la responsabilità non è dei piccoli, ma di chi li accompagna.

Allo stesso tempo, anche chi lavora in sala può fare la sua parte, riservando un po' di attenzione in più alle famiglie, accogliendole con gentilezza, aiutandole a vivere il momento con serenità, senza farle sentire di troppo. Insomma, come spesso accade, la soluzione è nel mezzo: più educazione da parte dei genitori, più disponibilità da parte dei ristoratori. Meno regole, più buonsenso. Perché il ristorante dovrebbe restare quello che è sempre stato: un posto dove si sta bene. Tutti.