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Crisi nella ristorazione: i motivi dietro la fuga dei cuochi italiani in Svizzera

I cuochi italiani scelgono la Svizzera per salari più alti e migliori condizioni di lavoro, mentre nel Belpaese il comparto ristorativo soffre per basse retribuzioni e alti costi di mantenimento

di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico
 
19 settembre 2024 | 15:44

Crisi nella ristorazione: i motivi dietro la fuga dei cuochi italiani in Svizzera

I cuochi italiani scelgono la Svizzera per salari più alti e migliori condizioni di lavoro, mentre nel Belpaese il comparto ristorativo soffre per basse retribuzioni e alti costi di mantenimento

di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico
19 settembre 2024 | 15:44
 

Ad ogni inizio di stagione turistica si ripropone la questione dei cuochi italiani che "fuggono" in Svizzera. È un tema che torna ciclicamente, come dimostrato dal titolo apparso sulla prima pagina della Prealpina in estate: «Ci rubano anche i cuochi». Il giornale lombardo denunciava la crisi di personale nei ristoranti, in particolare nelle zone del Varesotto, della Lombardia e del nord Piemonte, dove camerieri e cuochi attraversano sempre più frequentemente il confine per cercare salari più elevati. Il fenomeno, che non è nuovo, ha portato a una vera e propria emorragia di lavoratori qualificati nel settore della ristorazione.

Crisi nella ristorazione: i motivi dietro la fuga dei cuochi italiani in Svizzera

Cuochi italiani in fuga: perché scelgono la Svizzera?

Massimo Suter, presidente di GastroTicino, ha affrontato la questione in una trasmissione televisiva sul lago di Como, dichiarando: «Furto di cuochi? Un'uscita più che legittima, ma non è stata scoperta l'acqua calda». È risaputo che la Svizzera offre condizioni di lavoro più attrattive rispetto all'Italia in determinati mestieri, tra cui la gastronomia. Tuttavia, anche il Ticino soffre della mancanza di forza lavoro qualificata. Secondo Suter, il vero problema sta nel fatto che l'Italia, dal punto di vista salariale, è rimasta molto indietro, e c'è sicuramente margine per migliorare. Suter ha ricordato, infatti, che in Italia si è discusso a lungo sul contratto collettivo per chef e camerieri, scaduto anni fa e rinnovato solo a giugno 2024. «Chi è causa del suo mal pianga sé stesso» ha affermato Suter, criticando l'immobilismo del mercato italiano.

Le sfide per le imprese ristorative italiane

Sebbene Suter abbia evidenziato alcuni aspetti corretti, non si possono ignorare le difficoltà che incontrano le imprese italiane. La legislazione del lavoro in Italia è tra le più complesse e costose d'Europa, con una tassazione particolarmente gravosa. A questo si aggiungono costi che in altre realtà europee non sono così elevati, soprattutto nel comparto del turismo e della ristorazione. Ad esempio, i dipendenti italiani ricevono 14 mensilità, un trattamento che non è sempre previsto in altri paesi Cee. Inoltre, vi è il Tfr (Trattamento di fine rapporto), una forma di liquidazione che rappresenta una particolarità del mercato del lavoro italiano. Questa somma viene spesso usata dai dipendenti come un fondo di risparmio per situazioni di necessità, ma è un ulteriore costo per le aziende. A ciò si aggiungono le festività religiose e civili, che in Italia, anche quando non sono più osservate, vengono comunque accreditate e pagate ai dipendenti. In molti casi, quando si lavora in giorni festivi come Pasqua o Natale, le addizionali salariali sono doppie o persino triple, costringendo molti locali a chiudere durante queste festività per evitare costi insostenibili.

Le difficoltà economiche in Ticino (Svizzera)

Anche in Svizzera, però, non tutto è oro quel che luccica. Meno di un mese fa, la Federazione degli esercenti e degli albergatori del Ticino ha lanciato l'allarme: «La ristorazione è in ginocchio». Con cali negli affari che vanno dal 20% al 50%, l'associazione teme che alcune attività possano chiudere tra la fine del 2024 e l'inizio del 2025. Questo declino è stato in parte causato dal maltempo, che ha scoraggiato il turismo nella regione, causando un calo del 3,7% nel mese di giugno 2024 e del 5,8% nel primo semestre dell'anno.

Crisi nella ristorazione: i motivi dietro la fuga dei cuochi italiani in Svizzera

Ristorazione: anche in Svizzera, però, non tutto è oro quel che luccica

Suter ha sottolineato che i problemi vanno oltre il turismo. L'inflazione, l'aumento dei costi delle materie prime e dell'energia, insieme all'impennata dei premi delle casse malati, hanno ridotto il potere d'acquisto della popolazione. Di conseguenza, molti clienti scelgono di ridurre le spese non essenziali, come quelle legate alla ristorazione. Anche il mercato interno e il turismo di giornata sono stati colpiti, con i clienti che vanno meno frequentemente al ristorante o, se lo fanno, spendono meno rispetto agli anni precedenti. «Lavoriamo duramente, come sempre, ma con margini di guadagno minori» ha aggiunto Suter.

Il sistema dei tre pilastri della previdenza in Svizzera

Uno degli elementi centrali per comprendere il confronto tra le condizioni di lavoro in Svizzera e in Italia è il sistema previdenziale elvetico, fondato su un modello a "tre pilastri". Istituito ufficialmente nel 1972 e sancito dalla costituzione svizzera, questo sistema ha l'obiettivo di garantire una copertura previdenziale completa per i cittadini svizzeri. Si tratta di un modello ben equilibrato che combina la previdenza statale, quella professionale e quella privata, ripartendo i rischi e i contributi tra lo Stato, i datori di lavoro e i lavoratori stessi.

Primo pilastro: la previdenza statale

Il primo pilastro corrisponde alla previdenza pubblica obbligatoria, e ha lo scopo di coprire i bisogni di base in caso di vecchiaia, invalidità o decesso del capofamiglia (pensione ai superstiti). È paragonabile al sistema INPS in Italia, ma con alcune differenze chiave. In Svizzera, questa forma di previdenza si applica a tutti, indipendentemente dall'attività svolta, e viene finanziata attraverso contributi obbligatori versati sia dai lavoratori che dai datori di lavoro. L'obiettivo principale è quello di assicurare una protezione finanziaria minima per evitare che i cittadini cadano in povertà una volta raggiunta l'età pensionabile o in caso di eventi avversi come l'invalidità o la perdita del sostegno familiare. Le aliquote dei contributi sono fissate dalla legge e devono essere versate sia dai dipendenti che dai datori di lavoro. Questo pilastro è essenziale per garantire una base di reddito, ma non è sufficiente da solo a mantenere il tenore di vita che il lavoratore aveva durante la sua vita attiva. Per questo motivo, entrano in gioco anche gli altri due pilastri.

Secondo pilastro: la previdenza professionale

Il secondo pilastro integra il primo, e si tratta della previdenza professionale obbligatoria per tutti i lavoratori dipendenti con un salario superiore a una certa soglia. Questa componente è pensata per mantenere, in combinazione con il primo pilastro, il tenore di vita abituale del lavoratore una volta in pensione. La previdenza professionale, nota anche come "cassa pensioni" o "LPP" (Legge sulla Previdenza Professionale), prevede che i contributi vengano versati congiuntamente dal datore di lavoro e dal dipendente, con una distribuzione che può variare a seconda dei contratti, ma che generalmente impone al datore di lavoro di contribuire in misura maggiore rispetto al dipendente. Una particolarità importante del secondo pilastro è che il livello dei contributi aumenta progressivamente con l'età del lavoratore. Questo significa che, man mano che si avvicina l'età della pensione, sia il lavoratore che il datore di lavoro devono versare contributi più elevati. Questa progressività rappresenta un elemento di flessibilità che permette di accumulare un capitale adeguato per il periodo di pensionamento, ma può anche costituire un ostacolo per i lavoratori più anziani nel mercato del lavoro, poiché i datori di lavoro devono sostenere costi previdenziali più elevati per loro rispetto ai lavoratori più giovani. Il secondo pilastro è gestito da casse pensionistiche private o pubbliche, che investono i contributi versati per generare un rendimento che andrà poi a costituire il capitale finale del lavoratore. Al momento del pensionamento, il capitale accumulato viene convertito in una rendita, che si aggiunge alla pensione pubblica del primo pilastro.

Crisi nella ristorazione: i motivi dietro la fuga dei cuochi italiani in Svizzera

I tre pilastri della previdenza svizzera: un modello vincente che attira i lavoratori italiani

Terzo pilastro: la previdenza privata

Il terzo pilastro è una forma di previdenza facoltativa, ma altamente incentivata fiscalmente, che permette ai lavoratori di integrare ulteriormente la propria pensione, accumulando risparmi personali. Questo pilastro è particolarmente importante per coloro che desiderano mantenere un tenore di vita elevato anche dopo il pensionamento, o per chi ha redditi più alti e vuole una maggiore sicurezza finanziaria. Esistono due tipologie principali nel terzo pilastro: il pilastro 3a (vincolato) e il pilastro 3b (libero). Il pilastro 3a è il più comune e consente ai lavoratori di versare un determinato importo su conti bancari specifici o polizze di assicurazione sulla vita, che beneficiano di importanti vantaggi fiscali. I contributi versati possono essere dedotti dal reddito imponibile, riducendo così l'impatto fiscale. Tuttavia, il denaro rimane "bloccato" fino al pensionamento, e può essere prelevato solo in casi eccezionali, come l'acquisto della prima casa o il trasferimento all'estero. Al momento del pensionamento, il capitale accumulato viene restituito sotto forma di somma unica o può essere convertito in una rendita. Il pilastro 3b, invece, è più flessibile e non prevede limiti rigidi per i versamenti o per il ritiro del capitale. Tuttavia, non offre gli stessi vantaggi fiscali del pilastro 3a, motivo per cui è meno diffuso. Entrambi i tipi di previdenza privata permettono ai lavoratori di accumulare un capitale che può essere utilizzato liberamente al momento del pensionamento, garantendo una maggiore sicurezza economica.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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