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Fra protocolli e politica, il virus si è sviluppato nell'ospedale di Alzano

L'inchiesta della Procura dovrà accertare dove sta la responsabilità di scelte radicalmente diverse da quelle ospedale di Codogno. Da focolaio a incendio che ha devastato la provincia di Bergamo .

di Riccardo Nisoli
 
13 aprile 2020 | 08:25

Fra protocolli e politica, il virus si è sviluppato nell'ospedale di Alzano

L'inchiesta della Procura dovrà accertare dove sta la responsabilità di scelte radicalmente diverse da quelle ospedale di Codogno. Da focolaio a incendio che ha devastato la provincia di Bergamo .

di Riccardo Nisoli
13 aprile 2020 | 08:25
 

Fra le vicende più preoccupanti della gestione dell'epidemia in Lombardia, c'è la mancata chiusura di alcuni comuni della valle Seriana, fin da subito con tassi di contagio e mortalità superiori a quelli della zona di Codogno. Al punto che da alcuni focolai, in particolare da quello dell'opedale di Alzano Lombardo, mai chiuso e mai disinfettato radicalmente, è divampato un incendio che ha fatto di Bergamo la provincia più colpita dal Covid-19. Politica (la zona era ampiamente a maggioranza leghista) ed interessi economici hanno fatto da detonatore ad un'esplosione che oggi ha travolto istituzioni e relazioni sociali, nonchè le stesse prospettive di quelle grandi imprese che qualcuno, magari anche in buona fede, pensava di difendere. Il risultato sono migliaia di morti, anche fra il personale sanitario, e una generazione di anziani falciata come erba d'estate. Con le immagini angoscianti delle colonne di mezzi militari per portare fuori provincia le bare dei troppi deceduti. Sulla vicenda è ora aperta anche un'inchiesta della magistratura. Per dare un'idea di quali sono gli intrecci di questa gestione proponiamo un articolo di Riccardo Nisoli, direttore del Corriere della sera-Bergamo, pubblicato ieri sul suo quotidiano come editoriale, dedicato in particolare proprio  al caso di Alzano Lombardo. 

L'ospedale di Alzano Lombardo - Fra protocolli e politica, il virus ha devastato l'ospedale di Alzano

L'ingresso dell'ospedale di Alzano Lombardo (BG)

«Tutto secondo i protocolli e le linee guida»: si può riassumere così quello che scrive Francesco Locati, direttore generale dell’Asst Bergamo Est, rispondendo a una serie di interrogativi, tuttora aperti, sul tragico focolaio all’ospedale di Alzano. Ed eccola, la sua verità: da quando «si è avuto il rilievo di due positivi» sono stati immediatamente adottati «i protocolli aziendali ovviamente derivanti dalle linee guida riconosciute dalle autorità sanitarie, fino a quel momento».

Affermazioni impegnative, alla luce del risultato. E che dimostrerebbero quanto i protocolli, se è vero che sono stati così scrupolosamente seguiti, fossero inadatti a fronteggiare l’emergenza Covid-19. Ma il punto cruciale è: posto che all’inizio i due pazienti con coronavirus non sono stati individuati (e questo, all’inizio, poteva capitare), cosa è successo dopo che è arrivato l’esito positivo dei tamponi? Si è cercato di arginare l’infezione? Sono stati messi in quarantena i parenti dei pazienti? È stato sanificato l’ospedale? La sanificazione, spiega Locati, è stata fatta «internamente», ma tutto secondo «i protocolli organizzativi». Al di là delle testimonianze che affermano il contrario, e che saranno al vaglio della Procura, balza agli occhi la differenza fra la sanificazione all’ospedale di Codogno (chiuso quattro giorni, con robot manovrati da remoto per spruzzare perossido di idrogeno atomizzato) e quella di Alzano, dove non si specifica nemmeno come sia stata effettuata.

E mentre il direttore medico dell’ospedale Giuseppe Marzulli era per tener chiuso il presidio, la Regione impose di riaprire nonostante parecchi medici, in prima linea, fossero contrari (si sono infettati 479 operatori sanitari in tutta l’Asst Bergamo Est). «Ci mandano al macello», ha detto al Tg1 un camice bianco di Alzano che ha voluto mantenere l’anonimato. La stessa politica dell’armiamoci e partite ha costretto le Rsa a tenere aperti i centri diurni, che alle prime avvisaglie del virus, con buon senso, erano stati chiusi. L’Ats, a epidemia scoppiata, ha ordinato numerose ispezioni per verificare che nessuno chiudesse nulla, pena la perdita dell’accreditamento. «Ci volle coraggio per tenere chiusi i centri diurni», ha detto la direttrice della casa di riposo di Vertova.

Ma non tutti si sono potuti permettere di tener testa a Regione e Ats, come ha fatto Carisma (dove i decessi non sono esplosi), bypassando richieste tanto insensate. E così il virus è entrato nelle case di riposo, mietendo centinaia di vittime (1.100 secondo una stima dei sindacati) fra la popolazione più fragile. Ora quella politica, che non ha protetto i suoi anziani, cerca di proteggere se stessa. La Lega, che ad Alzano ha un feudo importante (non a caso ospita la Bèrghem Fest), ha già provato a proporre lo scudo penale per medici e infermieri — ma, guarda caso, anche per i manager della sanità — contro eventuali inchieste da coronavirus. Matteo Salvini ha dovuto fare marcia indietro, ritirando l’emendamento in fretta e furia sotto una valanga di commenti velenosi. Mai indispettire i social.

Riccardo Nisoli

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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