Il turismo, motore dell'economia italiana, è in serio pericolo. Infatti, oltre a bar, ristoranti, gelaterie e hotel, ora le organizzazioni mafiose sono pronte ad assaltare anche i grandi eventi destinati a catalizzare l'attenzione mondiale come il Giubileo del 2025 e le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. A rivelarlo è un recente studio di Demoskopika, che ha quantificato in 3,3 miliardi di euro il giro d'affari generato dalla criminalità organizzata attraverso l'infiltrazione nel settore turistico - che sembra destinato a crescere nei prossimi due anni.
Di questa cifra, quasi 1,5 miliardi di euro sono concentrati nelle regioni del Nord, dove si registra una crescente vulnerabilità delle imprese locali. A dominare questo scenario, con un giro d'affari di 1 miliardo e 650 milioni di euro, pari al 50% degli introiti illeciti, l'ndrangheta. Seguono la camorra con 950 milioni (28,8%), la mafia con 400 milioni (12,1%) e le organizzazioni criminali pugliesi e lucane con 300 milioni di euro (9,1%).
Il controllo territoriale e le imprese vulnerabili
Secondo Demoskopika, circa 7mila imprese turistiche italiane (il 14,2% del totale) sono a rischio di infiltrazione mafiosa. Si tratta di realtà già indebolite da crisi di liquidità e indebitamento, che diventano facile preda di quella che viene definita una forma di "welfare criminale". Le organizzazioni mafiose dispongono infatti di ingenti risorse finanziarie pronte per essere riciclate, acquistando attività in difficoltà. Ad oggi, sono stati confiscati 307 alberghi e ristoranti, di cui quasi il 60% si trova in territori tradizionalmente caratterizzati da una forte presenza mafiosa.
E il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio, non usa mezzi termini: «Il turismo italiano è sotto attacco. Oltre 7mila aziende vulnerabili rischiano di diventare ghiotta preda dei sodalizi criminali. La 'ndrangheta, la camorra, la mafia e la criminalità pugliese e lucana si infiltrano nei settori dell'ospitalità, dalla ricettività alberghiera alla ristorazione, passando per l'intermediazione. Debiti erariali, prestanome legati ai clan e una fragilità imprenditoriale sempre più diffusa creano le condizioni ideali per un controllo mafioso».
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Una mappa delle infiltrazioni mafiose
Le infiltrazioni mafiose, riporta Demoskopika, si distribuiscono in modo diverso sul territorio nazionale, con il 33,6% degli introiti illeciti concentrati nel Mezzogiorno (1 miliardo e 108 milioni di euro), seguito dal Nord-Ovest con 927 milioni (28,1%), il Centro con 715 milioni (21,7%) e il Nord-Est con 550 milioni (16,7%). Nove i sistemi turistici regionali risultano particolarmente esposti:
- Lombardia (560 milioni di euro),
- Campania (380 milioni di euro),
- Lazio (430 milioni di euro),
- Emilia-Romagna (230 milioni di euro),
- Piemonte (260 milioni di euro),
- Puglia (200 milioni di euro),
- Sicilia (190 milioni di euro),
- Liguria (90 milioni di euro),
- Calabria (125 milioni di euro).
Pubblici esercizi: la fragilità del comparto
I pubblici esercizi, ricordiamo, rimangono tra i comparti più esposti alle infiltrazioni mafiose. Bar, ristoranti e gelaterie, soprattutto nelle aree centrali e turistiche delle città, sono infatti facilmente aggredibili. E proprio qualche mese fa, Sergio Paolantoni, presidente di Fipe Confcommercio Roma, ce ne aveva parlato in modo approfondito: «Il nostro è un settore che è facilmente aggredibile. Pubblici esercizi e ristoranti sono aziende altamente attrattive per quel tipo di attività di riciclaggio, dove è facile fare un certo tipo di attività, come esempio di lavanderia del denaro».
Paolantoni aveva inoltre sottolineato come basti una semplice Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) per prendere in gestione un bar, aprendo la strada a fenomeni di dubbia trasparenza. Da qui delle possibili soluzioni: «Un primo passo per monitorare la situazione è quello di mappare i cambi di proprietà. Nelle metropoli stanno fiorendo locali di cui la proprietà non è ben conosciuta. Ci sono molti gruppi imprenditoriali che, negli ultimi anni, hanno aperto decine di locali e continuano ad aprirne, destando sorpresa in chi ha sempre lavorato nel settore».
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Alberto Lupini
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