Vale 116,3 miliardi di euro il patrimonio alberghiero italiano ed è concentrato soprattutto al Nord. Un numero che è stato soltanto lievemente intaccato dall'emergenza pandemica. È quanto sostiene il rapporto sul Patrimonio immobiliare alberghiero, l'indagine svolta dal World Capital Group (Wcg) e da Pkf Hotelexperts Hopitality group, in collaborazione con Nomisma, Rics, Confindustria Alberghi e Federalberghi Roma.
Si tratta di un risultato sorprendente, viste le difficoltà a cui il comparto è andato incontro nei due anni più difficili della storia del turismo. Basti pensare che a Roma sono ancora chiuse 180 strutture sulle 1.200 attive prima del Covid.
Le strutture alberghiere più danneggiate sono state gli alberghi a 3 stelle e probabilmente anche perché i clienti, per timori legati alle procedure di sanificazione, hanno scelto le categorie più alte o addirittura gli alberghi di lusso (che di fatto non hanno risentito dell'emergenza pandemica).
Così diversi albergatori hanno cercato di sfruttare l'emergenza per riconvertire molte strutture che appartenevano ai 3 stelle, per portarle a 4 o addirittura a 5 stelle.
La pandemia non ha eroso il patrimonio immobiliare alberghiero italiano
Nonostante gli effetti causati dalle restrizioni al turismo nella fase più critica della pandemia, il mercato hospitality in Italia si è dimostrato resiliente.
È lo scenario emerso dal nuovo Rapporto sul Patrimonio Immobiliare Alberghiero, realizzato dal Dipartimento di Ricerca di WCG – World Capital Group insieme a PKF Hotelexperts hospitality group, in collaborazione con Nomisma, RICS, Associazione Italiana Confindustria Alberghi.
Focalizzandoci proprio sul valore del patrimonio immobiliare alberghiero italiano, dalle stime emerge una sostanziale tenuta. A oggi il patrimonio ammonta a 116,3 miliardi e si è ridotto rispetto al periodo Pre Covid soltanto dell'1,5%.
La quota maggiore di patrimonio risiede quindi al Nord, che ne detiene il 54,5%, seguito dal Centro (25,8%) e poi dal Sud e dalle isole (19,6%).
I più colpiti sono stati gli alberghi a 3 stelle
Nel dettaglio, l’impatto maggiore ha interessato le strutture ricettive 3 stelle sia pur in misura, non determinante. L’emergenza ha infatti rappresentato l’occasione per la ristrutturazione e riconversione di molte strutture per portarle da 3 a 4, e in alcuni casi a 5, stelle.
Il lusso è stato più forte della crisi
I valori relativi agli hotel di lusso, invece, sono stati decisamente stabili rispetto al periodo pre-emergenziale, e in alcuni casi sono stati osservati perfino degli incrementi. Questo grazie alla domanda costante e al consistente pregio degli immobili.
Il patrimonio immobiliare degli alberghi in città
Soffermandoci sulle stime del patrimonio immobiliare alberghiero suddiviso per ogni cluster, dal Rapporto emerge che il segmento città registra un valore pari a 36 miliardi, in piena stabilità rispetto al periodo pre pandemia.
Roma è in testa come patrimonio alberghiero
Per quanto riguarda la Top 10 delle città è Roma, con un patrimonio immobiliare alberghiero di circa 12,8 miliardi di euro, a posizionarsi al primo posto, nonostante le tante chiusure che ci sono state in questi due anni ( a oggi su 1.200 sono ancora 180 gli alberghi chiusi).
Segue Milano, con un patrimonio immobiliare stimato di circa 7 miliardi di euro, Venezia con 6 miliardi e Firenze con 3,4 miliardi di euro.
Gli alberghi sul mare colpiti lievemente dalla pandemia
Spostandoci sul cluster mare, ha un valore complessivo di 17,7 miliardi, in lieve diminuzione rispetto al 2020 (-5,3%). Tra le località di mare analizzate è la Campania a posizionarsi al primo posto della Top 10 del cluster per le strutture ricettive 4 e 5 stelle.
Più danneggiati gli alberghi in montagna
Infine, focalizzandoci sul cluster montagna, il segmento registra un valore totale pari a 3 miliardi di euro, in forte diminuzione rispetto al periodo pre pandemico (-19%). Si tratta del cluster che più ha sofferto le chiusure imposte dalle disposizioni normative, prevalentemente concentrate nei periodi in il prodotto ricettivo sarebbe stato maggiormente richiesto.
Il canone di locazione più alto è a Venezia
Per quanto riguarda invece i canoni di locazione, il valore immobiliare medio degli hotel di lusso con almeno 200 stanze è più alto a Venezia, pari a 59 euro al metro quadro, mentre quello degli hotel di lusso con più di 200 stanze è più alto a Milano, per 36 al metro quadro.
Gli stranieri prediligono gli hotel di lusso
Sempre secondo il rapporto, date le preferenze espresse da turisti inglesi e americani, che mostrano voglia di tornare a viaggiare, gli stranieri prediligeranno hotel di lusso (37%), hotel a 3 stelle (25% turisti del Regno Unito, 16% turisti dagli Stati Uniti), case e appartamenti in affitto (15% e 14%).
C'è voglia di ripartire con nuove aperture
Per quanto riguarda le nuove aperture, l’interesse nel comparto alberghiero italiano resta molto alto. La strategia adottata da molti investitori è di approfittare di questo periodo di transizione per ristrutturare e rinnovare le strutture esistenti e creare nuovi prodotti. Al momento sono in corso 819 attività di ristrutturazione e nuova costruzione, di cui il 65% sarà ultimato entro la fine del 2022. Di queste attività il 71% è costituita da attività di nuova costruzione.
L'analisi sulle nuove aperture è stata confermata da Barbara Casillo, direttore generale di Confindustria alberghi.
«Il real estate alberghiero mantiene la sua vivacità anche dopo un periodo di sofferenza che ci ha visto vittime prima della pandemia e del conflitto dopo - ha premesso - C’è ancora tanto interesse ad investire nel settore immobiliare alberghiero e l’attenzione di grandi fondi e investitori internazionali rispetto alla nostre destinazioni dimostrano le potenzialità ancora in essere per il settore».
«Siamo davanti a una tiepida ripresa del settore – ha invece commentato Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma a Repubblica – A febbraio speravamo di uscire prima da questa lunghissima crisi, ma i venti di guerra hanno gelato gli entusiasmi, mai come ora purtroppo crediamo che l’orizzonte della ripresa vera, quindi il ritorno ai fatturati 2019, non potrà avvenire prima del 2024».