Nell’attesa, chissà quanto vana ed eterna, delle iniziative concrete e non ciarlate che il cosiddetto “tavolo vino” saprà e vorrà porre in essere proviamo a fare un check dello stato del vino italiano in questa stagione che denomineremmo, a beneficio dei posteri, “la policromia del Belpaese ai tempi del Covid”, giusto per ricordarci che siamo suddivisi in zone: la gialla, l’arancione e la rossa.
Una sostanziale premessa è doverosa e opportuna onde inquadrare l’argomento. La sponda commerciale del vino, atteso che quella di produzione (dalle uve al vino, dai vigneti alla cantina) permane nella sua core competence, si imbatte nella crisi del canale Horeca. Raccapriccia constatare che l’approccio è lamentevole ed è più rivolto a questuare aiuti piuttosto che ad individuare soluzioni che scaturirebbero non difficoltosamente da un’analisi dello scenario che nel suo evolversi, reso veloce dalla pandemia, lancia non criptici segnali di allerta ma al contempo ammicca a stimolanti vie di uscita.
Schizzano i consumi casalinghi
Crollano i consumi fuori casa, ma schizzano quelli casalinghiCiò posto in premessa, osserviamo i fatti. E di fatti ne osserviamo cinque. Attenzione a questo primo fatto. Calibriamo parola per parola l’affermazione seguente: “Nel periodo
aprile–ottobre vi è stata una crescita della frequenza del consumo di vino”. Chiaro? Non soltanto è cresciuto il consumo di vino, ma è cresciuta (fenomeno vistosamente correlato, ovviamente) la
frequenza del consumo: più occasioni di “calice in mano” rispetto al passato. E siccome non è che si
pranza e si
cena due volte al giorno, in tutta evidenza la crescita di frequenza significa modalità di consumo
fuori dai pasti.
Se poi accade che al momento dell’
aperitivo si bene vino piuttosto che melanconico spritz e a cena comunque bevo due calici piuttosto di uno così come a pranzo ne bevo uno piuttosto che zero e tutto questo avviene in
casa, allora ben si comprende come la commutazione dal fuori casa alle occasioni casalinghe ha più che compensato la diminuzione dei consumi nel canale Horeca. E allora, perché ci si lamenta così tanto della crisi del canale Horeca se la somma algebrica dei consumi ha il segno positivo?
I Millennial trascinano i consumiSecondo fatto. Quali fasce di
wine consumers stanno guidando il binomio “maggior frequenza&maggior consumo”? Stralciamo da uno studio recente (ottobre 2020) dell’autorevole osservatorio
Wine Intelligence. Negli Stati Uniti la crescita del consumo di vino è stata guidata dai bevitori
Millennial (25–39) e Generazione X (40–55), seguiti da vicino dalla Generazione Z (21-24). I Baby Boomers (> 55), che rappresentano oltre un terzo dei bevitori regolari di vino negli Stati Uniti, non hanno aumentato la loro frequenza di consumo di vino nella stessa misura. E quindi, aggiungiamo noi, l’hanno comunque
aumentata, sebbene “non nella stessa misura”. Lo stesso studio pone poi enfasi su un incremento
trasversale occorso su tutte le
generazioni esaminate, della presenza delle bevitrici.
I consumi di vino negli Stati Uniti
L'acquisto in prima persona permette di rendersi conto dei costiTerzo fatto. A fronte del consumo
casalingo cosa si è ovviamente verificato? Si è verificato che comprando la bottiglia sullo scaffale, sia esso
scaffale Gdo o scaffale enoteca, il consumatore buyer si rende conto del
prezzo della bottiglia e comincia a fare mente locale su quanto la stessa bottiglia (o comunque bottiglia assimilabile) il
ristoratore gliela faceva pagare. Insomma, a dirla tutta, si rende conto che i
ricarichi, che nessuno contesta come principio, sono esosi.
Acquisti online, maggiori competenzeQuarto fatto. Fortemente addentellato al precedente: il consumo casalingo non è stato innescato solo da
acquisti in spazi fisici, bensì anche da shop
online e quindi mediante e-commerce. Ciò ha comportato particolarmente un’altra novità: il bevitore/buyer ha accresciuto notevolmente le sue
competenze sul mercato del vino. Ha tempo e voglia, e tanta possibilità, di documentarsi bene prima di effettuare acquisto.
Su vino e birra, crollano i superalcoliciQuinto fatto. Chi fa compagnia al vino nella crescita dei
consumi (in questo caso non delle frequenze, ma solo dei consumi) delle bevande
alcoliche? Risposta: la
birra. Non sottovalutiamo, pertanto, il
calo dei consumi dei superalcolici.
Produttori, focus sul marketingA fronte di questi cinque fatti, come si articola il sempre valevole assunto “e pertanto ne consegue che?”. Di conseguenze forti, per il mondo dei
produttori di vino, ne individuiamo essenzialmente due. Una prima conseguenza è il sapere concentrarsi nelle attività di
marketing (su cui si tratta assolutamente di investire oggi più di ieri ma, attenzione, soprattutto oggi molto meglio di ieri !) focalizzando
offering, comunicazioni e relazioni sulle due fasce principali rappresentate da Millennial e Generazione X.
L'obiettivo è imparare a vendere direttamente ai consumatoriUna seconda conseguenza, che impatta sulla nuova
logistica, è dare priorità alla vendita online e con essa al segmento DtC (Direct to Consumer). Questo modello è in crescita, specularmente a fronte della
decrescita del modello vetero “distributore / grossista / rappresentante” espressioni
datate di un mondo che necessitava di gangli di intermediazione oggi in via di rapida obsolescenza. L’investimento nel DtC è alla portata anche dei
piccoli produttori, specialmente se costoro si coalizzano e trovano supporto nell’ambito consortile.
Si pensi, e si faccia utile riflessione al riguardo, che in
Africa (fondamentalmente il Sud Africa) ed in Oceania è il DtC a contribuire per la maggior parte ai ricavi da vendite di vino. Ma mentre per Africa ed Oceania si intende, lo chiariamo meglio a scanso di equivoci, produttori locali sui loro
mercati locali, sul mercato statunitense invece, il DtC è percorribile anche dalle aziende italiane abilitate all’export negli Usa. Dall’autorevole fonte Wine Analytics, stralciamo il dato significativo del report di questo corrente mese di novembre: DTC Shipments +15%. Occhio anche a: Off-Premise +14%. Specifichiamo che ci si sta riferendo al mercato USA di consumo con osservazione ottobre 2020 su ottobre 2019.
Per i ristoratori il conto vendita ha il destino segnatoNel mentre, per suo conto, come la ristorazione dovrà rapportarsi al “vino” sia nel suo “buy side” ovvero verso i produttori e sia nel suo “sell side” verso i clienti? La certezza è una sola: modificare radicalmente e coraggiosamente, di concerto con fornitori e clienti, il comportamento tenuto fino a ieri/oggi. Buy side si tratterà di affrontare con competenza e lungimiranza il destino segnato del
conto vendita.
Vendere vino non sarà più come una voltaSell side si tratterà di praticare un prezzoche ponga a cardine il segno “+” nella calcolazione del
ricarico (con una sola cifra dopo il segno +), agevoli il
take off del vino: il cliente si compra le
bottiglie e se le porta a casa, ed al contempo, finalmente, consentire se non addirittura agevolare anche il Byob, cioè, a fronte del verificarsi di determinate condizioni e regole, il cliente si porta il vino da
casa. Non disgiunte da
confidenza con efficiente software gestionale, tecnologia dei pagamenti e customer relationship mediante social media, sono queste le ponderate ed ineludibili attività da mettere in gioco nella nuova ristorazione. Il “vino” nella nuova
ristorazione può divenire contributore di utile aziendale ancor più di oggi, sebbene a sguardo miope e nostalgico, in prima lettura potrebbe apparire vero l’incontrario.