Quanto accaduto a Genova è l'emblema di un'Italia malata. Burocrazia e
privatizzazioni hanno condizionato gli ultimi 20 anni. Rimboccarsi le maniche, mettere
in sicurezza il Paese e svilupparsi sono gli obiettivi.
La tragedia del ponte Morandi, col suo carico pesantissimo di vittime e con la prospettiva di danni ingenti per l’attività portuale di Genova, segna, come una cesura netta, una stagione politica in cui si è perso il senso dello Stato e delle responsabilità delle diverse istituzioni.
Tolti forse alcuni baluardi, dalla presidenza della Repubblica alle forze di polizia, dai pompieri a qualche sindaco, la gran parte degli enti e delle istituzioni italiane hanno perso di credibilità ed autorevolezza. La sfiducia per l’inefficienza e il malcostume prevalente, è il leit motive che nelle ultime elezioni ha fatto emergere un blocco definito “populista” che ha trovato l’ampio consenso dei tanti italiani “arrabbiati”.
Una situazione che il crollo di un ponte da tempo indicato come “pericoloso”, e che da anni non era più in grado di reggere l’imponente traffico merci che lo attraversava quotidianamente, fa oggi da spartiacque con il passato, ponendo la questione centrale di cambiare il modo di fare politica e di gestire le istituzioni che devono riacquistare credibilità e ruolo.
Di fronte al parassitismo di una burocrazia che giorno dopo giorno ha soffocato la società italiana, i governi degli ultimi 20 anni avevano pensato di puntare come correttivo sulla strategia delle privatizzazioni, pensando che l’obiettivo della remuneratività, che sta alla base dell’iniziativa privata, potesse sempre dare vantaggi ai cittadini-utenti e, soprattutto, si accompagnasse sempre ad efficienza e sicurezza.
Scelte che purtroppo si sono però accompagnate al venir meno di attività di controllo e tutela che non possono non essere dello Stato. Il caso di Autostrade è evidente. Al di là di quello che accerterà la magistratura in termini di responsabilità, sembra certo che lo Stato, in questo caso il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, abbia di fatto ridotto i controlli su strade e ponti passati in gestione ai privati.
E questa è una storia che si ripete. Pensiamo a tutto quello che è successo nel campo della telefonia mobile, quando lo Stato aveva rinunciato ad esercitare un ruolo di controllo attivo e le varie compagnie avevano fatto il bello e cattivo tempo fino alle scelte da cartello monopolista di fare pagare gli abbonamenti su 13 mesi invece che su 12.
Ma se nel campo della telefonia la concorrenza almeno ha portato a ridurre le tariffe, nel caso di Autostrade si è invece creato un monopolio privato (in assenza di concorrenza) che può permettersi di portare a utile un terzo dei ricavi e intanto crollano i ponti.
I morti di Genova sono il segnale che almeno là dove non ci sono le condizioni perché ci sia una qualche concorrenza (e le strade e le ferrovie ne sono l’esempio più preciso) lo Stato deve tornare ad essere protagonista. Le strutture devono essere tutte oggetto di manutenzioni e controlli, anche a costo di non avere un euro di utile. Gli utili vanno reinvestiti per fare crescere la nostra rete di trasporti, non per ingrossare i portafogli degli azionisti.
La vita dei cittadini e la possibilità di poter viaggiare in sicurezza per merci e persone (
pensiamo all’impatto sul turismo di questa tragedia…) deve avere la più assoluta priorità. Essere liberali non significa far fare altri soldi a chi è già ricco, ma garantire a cittadini e imprese di potere crescere. In questo caso grazie ad una rete di mobilità efficiente. E per questo servono infrastrutture sicure e capaci di collegarci col mondo.
Oggi più che mai si deve investire in opere capaci di risolvere problemi antichi di viabilità (la Gronda di Genova, ma anche le Pedemontane lombarde e venete o la Tav) e mettere in sicurezza i tanti viadotti o ponti che, dalla Sicilia al Piemonte rischiano di crollare per errori di progettazione o utilizzo di materie prime non di qualità. Ciò che non possiamo assolutamente permetterci invece è che, dopo una politica folle di rinuncia dello Stato ad avere un ruolo più forte su questi temi, si pensi di non fare nulla (pensiamo al no del Comune di Roma al progetto Olimpiadi) per paura di sporcarsi le mani o di non essere in grado di controllare una burocrazia che le privatizzazioni hanno reso ancora più inefficiente.
Manager capaci al servizio delle istituzioni, non imprenditori, devono essere i nuovi alleati di una classe politica che voglia mettere in sicurezza il Paese e aprire una stagione di efficienza e sviluppo. Il Governo Conte forse potrebbe avere in questo momento l’opportunità di farlo. Speriamo.