Americano, Arancino, Cucca, Cuoricino, Lazzero, Madonna dell’Impruneta, Melaiolo, Puntino, Tondello. Questi sono solo alcuni tra i nomi più curiosi e soprattutto sconosciuti che si ritrovano all’interno dell’elenco delle varietà olivicole toscane chiamate, più propriamente, cultivar. Ad oggi il germoplasma regionale conta 119 varietà esistenti sul territorio, le quali ogni anno vengono raccolte separatamente grazie all’attenta opera degli olivicoltori in modo da comprendere sempre meglio le caratteristiche e i profumi, così come è avvenuto per il vino. Non c’è zona o areale in questa regione dove non si produca olio. Dalle Apuane fino a Capalbio, passando per le colline di Arezzo e i monti Pistoiesi fino alle porte della via via Emilia.
Tra le varietà riscoperte o mai abbandonate mi piace ricordare il Quercetano, che nasce nell’omonimo comune tra le province di Massa e Lucca dalla forma ovoidale e piuttosto resistente alla mosca. Il Maurino lucchese che si ritrova in varie zone della Toscana e diffuso per la propensione a diffondere il polline ad altre cultivar. Il Leccio del Corno, individuato nell’omonima fattoria di San Casciano Val di Pesa, o l’Olivastra Seggianese che si ritrova ai piedi del Monte Amiata, così ricca di antiossidanti, i polifenoli. Ma la regione, va da sé, è celebre per le sue cultivar raccolte in maniera omogenea in tutto il territorio: Leccino, Frantoio e Moraiolo. Delle tre monocultivar si consiglia di raccogliere per primo il Leccino, poi il Moraiolo e infine il Frantoio, anche se, come succede puntualmente in ogni oliveto, nessuno meglio dell’olivicoltore conosce il momento propizio per raccogliere le olive e poi scegliere il più vicino frantoio a ciclo continuo per ottenere un olio integro e pulito.
In questi ultimi anni, grazie alla volontà dei produttori di comprendere il gusto del proprio olio e alla crescente domanda dei consumatori di acquistare un olio con certe peculiarità, il cliente è sempre più portato a produrre oli monovarietali. Ogni anno l’olivicoltura teme l’eterna incertezza della produzione olivicola, della qualità delle olive e, non ultimo, della corretta frangitura delle olive. Per questo chi fa olio ha a disposizione due strumenti: fare un solo olio proveniente da un unico olivaggio, oppure, secondo il gusto, creare un blend attraverso gli olivi sparsi nel proprio campo. Da qui nasce l’ultima parte che, personalmente, diventa la più importante: l’abbinamento delle varietà con i cibi della tradizione regionale e nazionale.
Partendo dall’assioma che non esistono oli delicati se raccolti alla giusta invaiatura e lavorati e conservati correttamente, possiamo definire le caratteristiche organolettiche per creare il corretto abbinamento. Con un olio Leccino appena spremuto dalle tonalità olfattive vegetali e con accenni speziati, si accompagnerà perfettamente con una vellutata di ceci e gamberi del Tirreno per contrapporre la tendenza dolce del piatto alle sensazioni mediamente intense dell’olio. Il Frantoio, da sempre, ha caratteristiche marcate di amarezza e speziatura, così da avere caratteristiche di abbinamento perfette con la concordanza di una carne alla brace in cui si esalta la succulenza della carne con la tendenza amarognola della cottura. Il Moraiolo così amaricante dalle note di carciofo, melanzana e pepe, si esalterà sia per contrapposizione con una ribollita toscana, sia per concordanza per gli amanti dei gusti forti, con crostini di fegatelli e cavolo nero, o tortelli con ragù di carne ed erbe di campo. Pochi esempi ma efficaci per incuriosire l’appassionato e per incoraggiare il produttore a conoscere i propri oli così da proporre una gamma sempre nuova e unica.