Riportiamo da Corrieredelveneto.corriere.it
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TREVISO – In tedesco, il verbo "spritzen" significa "spruzzare". Leggenda vuole che lo spritz sia nato proprio durante la dominazione asburgica, da questa comunanza di suoni. Originariamente, era un "bianco macchiato". Da qualche anno, i professionisti del marketing vogliono far passare la regola del "6 centilitri di prosecco, quattro di Aperol o Campari, seltz o soda, ghiaccio e arancia". E adesso arriva pure la rivoluzione, firmata da Montelvini e Moletto: lo spritz sarà venduto in fusto. E sarà così servito alla spina. Per far prima, però, si rischia di cancellare il rito che personalizza l'aperitivo in ogni bar. «Non si deve tradire la tradizione», sibila Enrico Breda, web master di Spritz.it, la community padovana degli amanti dell'aperitivo.
Per esser sicuri di non patire il furto dell'idea, Montelvini, cantina del prosecco di Venegazzù, nel Trevigiano, e la Moletto, cantina di Motta di Livenza, hanno deciso di registrare il marchio. "SpritzOne", questo il nome della bevanda, racchiusa per la prima volta dentro i fusti. La manovra di business e la comunicazione è congiunta. La spiegano Alberto Serena, vicepresidente di Montelvini, e Mauro Stival, amministratore delegato della cantina Moletto. «Abbiamo unito la qualità del prodotto e la rete commerciale. I clienti sono entusiasti. Il nostro spritz alla spina ha sette gradi. Viene spillato già miscelato. Gli esercenti devono solo aggiungere ghiaccio e le guarnizioni, così si risparmia tempo».
è accaduto anche questo, dunque. Lo spritz sarà servito dai fusti. Non bastava lo «Spritzer», la lattina di acqua e vino bianco. Non era sufficiente la bottiglia che si compra oggi nei centri commerciali, lo "Spritzettino". Quando un marchio tira, il marketing è in agguato. La lattina di prosecco di Paris Hilton è un caso emblematico. E lo spritz, da alcuni anni a questa parte, ha decisamente superato i confini regionali. Basti citare il "Cin Cin Spritzeria", locale di tendenza gestito da un vicentino a Barcellona, in Spagna. Chissà cosa ne penserebbero i soldati austriaci – e questa è un'altra delle leggende dello spritz – che in Veneto non riuscivano a bere il vino, troppo alcolico. E chiedevano di diluirlo con l'acqua. Poi, a forza di brindisi, lo "spritz", "spriss" o "sprissetto" che dir si voglia è diventato un rito. Un appuntamento ineluttabile dopo il lavoro, con due patatine e qualche amico. Oliva, arancia o limone. Ghiaccio. Noccioline, cicchetti. L'apoteosi in questo senso è piazza delle Erbe, a Padova, dove centinaia di universitari ogni sera, ma in particolare di mercoledì, si ritrovano per brindare.
Ma come ogni tradizione che si rispetti, ci sono anche i puristi. Uno di loro è Enrico Breda, 32 anni, ingegnere e fondatore, nove anni fa, della community di Spritz.it. On line, si sono registrati quasi cinquantamila utenti. Nel sito della Aperol, che sponsorizza la community padovana, c'è il suo link come sito ufficiale della bevanda. Breda non accetta la rivoluzione del fusto. «La tradizione prevede che lo spritz vada fatto al momento», dice. «Ogni baretto ha la sua filosofia. C'è chi usa il campari, chi il gin, chi prosecco frizzante, chi vino bianco fermo. Già non mi piacciono quei locali che preparano i bicchieri già pieni prima dell'arrivo dei clienti, figurarsi le bottiglie o i fusti di spritz». Linea che peraltro è condivisa dalla strategia di marketing dell'Aperol, che nello spot che ha reso lo spritz fenomeno di culto in mezza Italia mostra tutta l'allegria che si sprigiona mentre il barista prepara la magica bevanda. Se fosse stato spillato, come avrebbe reagito quella ragazza rossa sull'auto?
Mauro Pigozzo
corrieredelveneto.corriere.it
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