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Fra chiusure o abbandoni Quando gestire un ristorante non è facile

di Alberto Lupini
direttore
 
11 febbraio 2019 | 14:27

Fra chiusure o abbandoni Quando gestire un ristorante non è facile

di Alberto Lupini
direttore
11 febbraio 2019 | 14:27
 

I ristoranti spesso si trovano a fare i conti con la dura realtà. Costi e ricavi devono raggiungere un equilibrio. Non bisogna lasciarsi condizionare dai sogni di gloria creati dalla tv che alimenta il mito dello “chef”.

Sui casi personali non si può certo costruire un’analisi scientifica, ma certo alcune recenti chiusure improvvise di ristoranti (la Taverna del Colleoni e Ezio Gritti a Bergamo), o di abbandoni dei cuochi (il bistellato Matteo Metullio a San Cassiano e il giovane Mirko Ronzoni sempre a Bergamo), impongono qualche riflessione rispetto a cosa sta succedendo nel comparto. Anche perché, sia pure prendendo con le pinze un rapporto su dati Unioncamere sulla ristorazione, ci sarebbero non pochi campanelli d’allarme sullo stato di salute di imprese che già con l’ultima recessione avevano pagato un conto salato di chiusure... Se da un lato il 2018 sembra essere stato l’anno del record di consumi degli italiani nei ristoranti, con 85 miliardi di euro di ricavi, sul piano dell’attività si è registrato al contrario il saldo negativo più corposo degli ultimi dieci anni: tra numero di società avviate (13.629) e quello delle cessate (26.073) si giunge a -12.444, quasi il doppio rispetto al -6.796 di dieci anni prima.

Pierangelo Cornaro, Ezio Gritti, Mirko Ronzoni (Fra chiusure o abbandoni Quando gestire un ristorante non è facile)
Pierangelo Cornaro, Ezio Gritti, Mirko Ronzoni

Il primo pensiero, magari scontato, è che, come per tutte le aziende, anche nella ristorazione ci dovrebbe essere un giusto equilibrio fra costi e ricavi e dovrebbe essere ben chiara la mission: in pratica avere un progetto condiviso e perseguito da tutti con l’obiettivo di avere un giusto guadagno. Purtroppo va rilevato che fra improvvisazioni o sogni di gloria alimentati dai troppi format che hanno creato una polarizzazione eccessiva attorno alla figura del cuoco o del ristorante, le cose non sono sempre correttamente impostate. Spesso si trovano imprenditori, non del settore, che investono in questo mondo illudendosi di poter ottenere chissà quali guadagni. Magari immediati. Una tendenza che è purtroppo viziata anche dalla presenza di non pochi “investitori” legati alla criminalità che nel turnover di gestioni negli esercizi pubblici hanno trovato una delle nuove modalità con cui pulire denaro sporco. Si tratta di realtà che falsano il mercato visto che l’ultimo obiettivo è ovviamente quello di fare quadrare i conti...

Matteo Metullio (Metullio e l’addio a La Siriola «Basta cucina, voglio fare il padre»)
Matteo Metullio

Dal lato opposto - ed è quello che sta ad esempio dietro alla serrata decisa da Pierangelo Cornaro - c’è chi invece vuole ottenere, magari giustamente, da un immobile in affitto un reddito elevato. Essere nella piazza simbolo di un centro storico come Bergamo Alta, può fare immaginare alti introiti grazie ad un motivo di richiamo enorme (la location). Purtroppo a volte ci si dimentica di cosa comporta in termini di costi gestire o ristrutturare un ristorante di qualità in un edificio con vincoli storico ambientali. E questo perché magari si dimentica che un ristorante non funziona come un negozio di indumenti intimi... La cosa poi diventa grave se l’affittuario è una banca che sottovaluta il danno enorme per l’immagine della città e del turismo con la chiusura di un ristorante su quella piazza...

Un’altra riflessione che si può fare riguarda invece le ambizioni dei cuochi (che a volte sono state troppo assecondate) e gli obiettivi dei ristoratori. Quando le figure coincidono (chef patron), se c’è qualità l’equilibrio lo si trova e l’azienda funziona. Se però i progetti, a volte anche di vita, sono divergenti, il modello, pur vincente e di successo che sia, entra in crisi. Che è poi quello che è successo alla Siriola che, almeno temporaneamente, chiuderà i battenti a fine marzo perché realisticamente la proprietà, che aveva investito su questo format, non può trovare da un giorno all’altro il sostituto di un collaboratore bistellato che preferisce lasciare i fornelli, magari solo per un po’, per dedicarsi alla famiglia in un’altra città. Almeno a certi livelli, per un ristorante l’investimento sulle persone non è facilmente sostituibile, fosse anche solo a livello di immagine.

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